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Chiesa San Giovanni Battista guardata con gli occhi giusti.

Non è sufficiente guardare per vedere,  gli occhi non bastano, è l’anima, la mente,  il cuore, è l’amore per le cose che vedono ciò che i molti non riescono nemmeno ad immaginare.

Con questo principio oggi parliamo di una perla che ci appartiene ma che in molti non hanno mai visto: La chiesa di San Giovanni Battista di Celano.

La chiesa, d’impostazione romanica con influssi gotici, ha una struttura a tre navate con presbiterio. Le navate sono costituite da sei arcate ogivali poggianti su piloni in pietra. I piloni hanno basi ottagonali e capitelli di forme diverse. La copertura è a volta.

A seguito dei lavori di restauro successivi al terremoto del 1915, sono stati rinvenuti nelle volte, nelle pareti e nei pilastri della navata destra, che è l’unica rimasta originaria, degli affreschi quattrocenteschi che inizialmente dovevano coprire l’intera chiesa.

La chiesa di San Giovanni Battista, opera di maestranze appartenenti alla scuola Marsicana, risale alla seconda metà del XIII secolo quando l’originario centro abitato di Celano fu ricostruito a seguito della distruzione inferta nel 1223 da Federico II.

Nel XVIII secolo la chiesa fu modificata in stile barocco, con l’abbassamento delle volte e la copertura degli affreschi con degli stucchi.

La facciata, compiuta in tempi successivi, è opera dei maestri Aquilani che accettano di conservare, come variante alla loro abituale terminazione orizzontale del prospetto, la tradizionale conclusione a capanna dei costruttori Marsicani, e nella parte superiore compiono un’opera d’arte costruendo una finestra a ruota che riproduce ancora una volta il caratteristico disegno dei finestroni gotici di Santa Maria di Collemaggio.

Il traforo si sviluppa da un piccolo anello centrale in cui è raffigurato il volto del Redentore e dal quale si irraggiano dodici colonnine complete di capitelli e archi a chiglia trilobati e terminanti contro il giro della mostra. Gli spazi risultanti danno luogo a dodici controarchetti pure a chiglia decorati da altrettanti trafori a stella e da ventiquattro archetti a tutto sesto trilobati all’interno. Il rosone sembra opera delle stesse maestranze del portale, per la perizia d’intaglio della mostra a tralci, interposti da piccole figure e circondati da un giro di minuscole punte di diamante. Le figure come le decorazioni vanno viste con particolare attenzione perché sono effettivamente stupende.

Secondo la versione accreditata dalla storiografia locale, la fondazione dell’edificio andrebbe ricondotta entro la metà del Duecento, quando Celano venne ricostruita nel sito attuale, dopo che il precedente insediamento sul monte Tino, circa un chilometro a Nord, era stato distrutto nel 1223 da Federico II che aveva risparmiato solo l’antica parrocchiale di San Giovanni Evangelista, nota anche come San Giovanni Vecchio, oggi intitolata a Santa Maria delle Grazie.

Nonostante l’assenza di elementi macroscopici che possano avvalorare una datazione così precoce, l’abitato sembra essersi distribuito intorno al piccolo pianoro sottostante il castello, assumendo come baricentro del reticolo viario proprio la collegiata, che si apre sull’unica piazza antica leggibile in un tessuto urbano comunque stravolto da numerose modernizzazioni. La chiesa attuale si presenta tuttavia come un organismo architettonico eterogeneo scaturito da un cantiere dipanatosi in varie fasi che si scalano presumibilmente tra la fine del XIII secolo e gli inizi del XV, la cui leggibilità è fortemente inquinata da due eventi sismici significativi e dalle loro conseguenze, esiziali in termini di rifacimenti e ripristini.

Chi intorno alla metà del Quattrocento fosse entrato nella collegiata celanese, avventurandosi nella navatella di destra, avrebbe potuto ammirare una specie di mostra antologica della pittura tardogotica abruzzese, essendo state riconosciute nelle prime quattro campate le mani e soprattutto le botteghe degli anonimi maestri del trittico di Beffi e della cappella Caldora, nonché gli esordi di Andrea De Litio. (Andrea De Litio (o anche Delitio o Delisio; Lecce nei Marsi, 1420 circa – Atri, 1495 circa) è stato un pittore italiano del Rinascimento. Tra i massimi esponenti della pittura centro-meridionale dell’epoca, fu artista di rilievo del Quattrocento italiano, assieme agli scultori Nicola da Guardiagrele e Silvestro dell’Aquila; il suo stile rimase comunque legato anche al tardogotico, anche se conosceva bene l’arte dei suoi più noti contemporanei).

Nella prima campata, fra le altre cose, si riproducono con modalità inconsueta la serie degli Evangelisti. Questi, impegnati a redigere la propria testimonianza e affiancati dai rispettivi simboli iconografici, sono infatti riprodotti come figure monumentali, innaturalmente inginocchiate, tanto da apparire quasi prive di corpo nella parte inferiore e soprattutto dotate di vistose ali dal piumaggio variopinto secondo un’iconografia che propone una contaminazione tra il personaggio e il suo simbolo, fornendo una versione spuria del Tetramorfo, che trova qualche riscontro in area marchigiana, così come nella Santa Croce di Genazzano. Inoltre si nota una figura “mutilata” forse il Creatore dentro una mandorla.

La seconda campata ripropone nella volta i quattro Evangelisti alati con simbolo e codice, inquadrati però da un apparato ornamentale assai più ricco ed elegante del precedente.

Di estremo interesse è poi la sequenza impaginata sulla porzione corrispondente del muro d’ambito, che culmina nel Cristo giudice affiancato dal lacerto di una figura panneggiata, forse un arcangelo, e da un riquadro più ampio, solitamente ritenuto un Giudizio universale nonostante rappresenti palesemente la Resurrezione della carne. E’ possibile riconoscere nella scena di puerperio il primo miracolo di San Nicola che, durante il bagnetto cui viene tradizionalmente sottoposto il neonato, tra lo sconcerto delle levatrici, si levò in piedi manifestando una precocità prodigiosa. L’identificazione è corroborata dal pannello sottostante che illustra un altro episodio ricorrente nell’agiografia del santo come il precedente citato nella Legenda aurea in cui il vescovo di Mira salva tre strateliti ingiustamente condannati a morte. La rappresentazione dell’intervento del protagonista entro una mandorla iridata ad interrompere l’esecuzione attesta d’altronde che si tratti proprio di questo episodio e non, come spesso ritenuto, della decapitazione, avvenuta al tempo di Antonino Pio e tradizionalmente localizzata proprio nei pressi di Celano, dei martiri Simplicio, Costanzo e Vittoriano, i cui corpi riposano sotto l’altare maggiore della nostra collegiata, nella quale vennero traslati nel 1406 da San Giovanni Vecchio.

Altri affreschi ritraggono san Nicola seduto in cattedra con angeli che gli posano la mitra. Infine al centro, in asse con la finestra e il Cristo giudice è un riquadro con la Crocifissione.

Nelle vele della volta successiva sono invece raffigurate la Madonna con il Bambino, Santa Caterina d’Alessandria e due sante martiri già riconosciute con Vittoria e Anatolia, il cui culto è piuttosto diffuso tra Lazio, Abruzzo e Marche, anche se una è sicuramente Lucia per la presenza nella mano sinistra di una lampada a olio, mentre l’altra è di difficile identificazione per la genericità degli attributi, palma e codice, che potrebbero comunque appartenere, tra le molte, anche ad Anatolia.

La quarta campata infine contiene nuovamente una Madonna con il Bambino, cui fa da contrappunto un Cristo benedicente, mentre le figure laterali, ritenute due sante, sono in realtà i due Giovanni titolari dell’edificio, come rivela chiaramente la figura del Battista.

Nei sottarchi sono invece raffigurati, con un’unica eccezione, alcune serie di otto figure a mezzobusto entro oculi polilobati che riproducono nella prima campata gli apostoli, i protomartiri Stefano e Lorenzo e due diaconi, nella seconda i sedici profeti, nella terza i quattro Dottori della Chiesa nell’arco longitudinale e otto santi nella navatella, e nell’ultima otto martiri assai ben conservati nell’intercolumnio e un gruppo lacunosissimo di sante a segnare il passaggio alla volticina successiva.

Infine, il primo pilastro ottagono, sotto una cornice fogliata che simula il capitello, è orlato da un motivo araldico che alterna l’arma dei conti di Celano d’azzurro alla banda d’argento con quella dei Colonna, di rosso alla colonna d’argento con base e capitello d’oro coronata del medesimo.

In un’altra figura nonostante la lacuna impedisca di verificare la presenza di attributi specifici,sembra si riconosca Santa Caterina d’Alessandria, un culto familiare ai conti di Celano che avevano fatto erigere a Napoli una chiesetta ad essa dedicata, nota come Santa Caterina dei Celanesi, ubicata nei pressi del sedile di Nido, nel cuore della città durazzesca.

In accordo a questa ricostruzione nel 1418, alla morte di Nicola, il maestro Caldora sarebbe stato incaricato di decorare la navata, iniziando dalla seconda campata che fungeva da cappella funeraria del conte. Il motivo di tale scelta possiamo anche immaginarlo, si trattava di un artista che aveva dato la sua prima prova a Subiaco, nel sottotetto di Santa Scolastica tra 1408 e 1413, su incarico dell’abate Tommaso da Celano, secondo alcuni autori membro della famiglia comitale.

Nell’ultima campata sembra ci siano gli esordi di Andrea Delitio,cui è stata riferita da Ferdinando Bologna, la vela con la Madonna con il Bambino.

Nella quarta campata, che mostra sensibili differenze anche rispetto a quella immediatamente precedente, c’è il San Giovanni Battista che nel l’impianto e nella fisionomia richiama la serie degli Evangelisti della prima campata, quella che presentava riflessi della maniera del maestro Caldora, un tratto che sembra rintracciabile, ma si tratta di testi pittorici alterati da ridipinture, anche nel San Giovanni Evangelista e nel Cristo Redentore.

Il caso della chiesa di Santa Caterina dei Celanesi, patrocinata proprio dal conte Nicola e di Bernardo, suo fratello, che aveva fatto erigere, sempre nella capitale, la tribuna della chiesa di San Girolamo delle Monache, come pure le ricche cappelle possedute dai Cantelmo a San t’Agostino e in altre chiese napoletane.

Si apre così un’ulteriore prospettiva di ricerca. L’esordio del maestro Caldora, l’abbiamo ripetuto più volte, è a Subiaco dove lavora per Tommaso da Celano, in un cenobio affollato di presenze straniere e in particolare spagnole.

(Da: “IL CANTIERE PITTORICO DELLA CHIESA DEI SANTI GIOVANNI BATTISTA ED EVANGELISTA A CELANO: CONVERGENZE E TANGENZE” di Gaetano Curzi.)

LA CHIESA E I TEMPLARI

Il portale di ingresso della Chiesa presenta numerosi simboli Templari. Oltre alle Croci, presenti già nella precedente Chiesa della Madonna delle Grazie, qui è possibile non solo rinvenire segni  usati solitamente dei Templari, ma addirittura notare altre tracce rare usate in singolari Chiese Templari come quella di San Giovanni a Sepolcro di Brindisi, edificio sacro costruito con certezza dall’Ordine Templare. Ebbene, sul portale della Chiesa di San Giovanni Battista numerose sono le Croci Patenti scolpite nella pietra anche con  fattura artistica. Oltre ad esse ho notato il graffito di una “Triplice Cinta”.

Nel Medioevo questo simbolo si trova in varie versioni nelle cattedrali gotiche (come Amiens e Somme) e venne adottato dai Templari  per contrassegnare luoghi di particolare sacralità tellurica(” .. In tutte le religioni arcaiche molti uomini hanno accolto jerofanie ricondotte alla Madre Terra intesa come una Potenza Numinosa ( Nume= il sacro, la divinità ; Tellus = Terra). Come ampiamente documentato, la si ritrova spesso incisa sia in orizzontale, sia in verticale, sui muretti e sulle soglie dei gradini delle chiese medievali fino al XIII-XIV secolo.

Scrive lo studioso italiano Aldo Tavolaro che la presenza di una Triplice Cinta indica «che ci si trova in un luogo che rappresenta l’omphalos della zona, ossia il centro di energie fisiche (correnti telluriche, magnetiche e cosmiche) che possono venire esaltate da un raggruppamento di persone legate da alta spiritualità. Di contro il luogo contrassegnato da quel simbolo è l’ombelico, il punto centrale di un territorio in cui esistono le premesse fisiche perché possano moltiplicarsi le energie psichiche emesse, per esempio, da uomini in preghiera. D’altronde anche il disegno è chiaro. La Terra, nel simbolismo sacro, è rappresentata da un quadrato che, nel caso in esame, racchiude un quadrato più piccolo e poi ancora un terzo ancora più piccolo quasi a concentrare l’attenzione, come una messa a fuoco, in uno spazio minimo centrale del disegno: l’omphalos, l’ombelico. I tratti mediani convergono anch’essi verso il centro». Oltre la triplice cinta ci sono due “Nodi di Salomone”.

– Il Nodo di Salomone, tanto per restare in tema, simboleggia, nella sua valenza originaria, proprio l’unione profonda dell’Uomo con la sfera del divino. Questo tipo di simbologia è molto arcaica, risale all’epoca preistorica ed è riscontrabile nelle tradizioni dei popoli asiatici, africani, delle Americhe ed europei. Gli studiosi pensano che sia giunto fino a noi attraverso la cultura dei Celti basata su una simbologia rappresentante nodi ed intrecci.

Il Nodo è formato da due serie di anelli che si incrociano tra loro formando una sorta di croce. Il suo intreccio chiuso rappresenta la ciclicità e l’eternità e le sue forme ondulate alludono alla Forza creatrice ed energetica della Madre Terra, associate all’elemento dell’acqua. Il Nodo è detto di Salomone, figlio di Davide e saggio re di Israele, è una delle figure fondamentali nella Bibbia e nella storia degli Ebrei, perché ricevette da Dio la capacità di discernere il Bene dal Male. Salomone è anche celebre per aver costruito il Grande Tempio di Gerusalemme dove era custodita l’Arca dell’Alleanza, simbolo del Patto tra Dio e gli uomini. Il Nodo di Salomone rappresenterebbe quindi la Soglia, simbolo del passaggio ad un’altra vita, la vera vita. Nell’epoca gotica si compie una rivoluzione nell’ambito architettonico, religioso e culturale. In particolare, sul piano architettonico, si cerca di diffondere silenziosamente un’antichissima conoscenza attraverso la modalità di costruzione delle cattedrali ben compresa dai nuovi ordini cavallereschi nascenti quali i Templari, ad esempio. Questi luoghi di culto erano caratterizzati da molti simboli di antica saggezza; in particolare il Nodo di Salomone, per i Templari, simboleggiava la Croce, segno dell’alleanza sacra ed indissolubile che sostiene il crociato. Quindi se il Nodo di Salomone rappresenta la Croce, esso è la prefigurazione simbolica del Sacrificio di Cristo avvenuto per l’umanità e ricordato nelle epoche grazie a questi antichi simboli, cosicché il ricordo perduri nel tempo nel cuore degli uomini.

Giancarlo Sociali

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