L’UNITA’ D’ITALIA attraversando la Guerra Sociale del 91 a.c. e l’Eneide di Virgilio (raffronti di migliaia dianni)

Quinto Poppedio Silone, condottiero dei Marsi, bacia la personificazione dell’Italia. Illustrazione realizzata da JAMES FANTAUZZI
Moneta della Guerra Sociale

Nel 91 a.C., per la prima volta nella storia, compare il nome “Italia” su una moneta. Questo simbolo fu adottato dai popoli italici in opposizione a Roma, in risposta al mancato riconoscimento della cittadinanza romana, che negava loro i privilegi e i diritti all’interno della società. La loro rivendicazione segnava il primo tentativo concreto di unione tra le popolazioni della penisola, un preludio agli ideali che Virgilio avrebbe poi immortalato nell’Eneide.

Virgilio, attraverso il suo poema epico, cercò di conciliare le tensioni tra le diverse identità locali e la necessità di un legame comune. Pur senza riferimenti espliciti alla Guerra Sociale, la sua narrazione suggerisce un filo conduttore tra il destino di Roma e il sacrificio delle genti italiche. Il poeta racconta la nascita della civiltà romana come il risultato di fusioni tra popoli diversi, con i Troiani come catalizzatori di un nuovo ordine. Tuttavia, questo processo di integrazione non avvenne senza dolore e violenza, come testimoniato dalla tragica fine di Turno, l’eroe italico sconfitto da Enea.

La profezia di Re Latino, secondo cui la sua stirpe avrebbe dominato scegliendo uno straniero come genero, si carica di un’ironia amara: invece di un’integrazione armoniosa, i Latini subiranno un bagno di sangue. Alessandro Barchiesi, nel suo “Bellum Italicum”, sottolinea come Virgilio accenni implicitamente a questo conflitto, pur evitando di menzionarlo direttamente. La guerra sociale, infatti, rimase un trauma nella memoria collettiva romana, al punto da essere quasi cancellata dai racconti ufficiali. Orazio, originario di Venusia, città punita per il suo sostegno agli insorti, non ne parla mai apertamente, segno della rimozione storica di quegli eventi.

uccisione del campione Italico “TURNO”

Nonostante questa cancellazione, alcuni aspetti dell’Eneide evocano il legame profondo tra guerra e territorio italico. Virgilio descrive i popoli della montagna e dell’entroterra, gli stessi che avevano guidato la rivolta contro Roma. Tra questi spiccano i Marsi, protagonisti della Guerra Sociale, ma presentati nel poema come incantatori di serpenti, quasi fossero figure mitologiche piuttosto che attori storici.

Nel “bellum Italicum”, la mancata solidarietà tra gli Italici e le città etrusche e magnogreche facilitò la riconquista romana. Virgilio rappresenta questa divisione con la guerra tra Enea e Turno, uno scontro che anticipa la dinamica delle guerre civili e sociali. La resistenza italica, seppur potente, finisce per essere domata e riassorbita nell’espansione romana

L’Eneide, dunque, non celebra un processo di unificazione naturale, ma un’unità forzata, costruita sulla violenza e sull’assimilazione. Questo stesso destino sembra essersi ripetuto nei secoli successivi, con il Meridione d’Italia costretto a subire imposizioni dall’alto, senza che venissero mai riconosciuti gli errori e le ingiustizie del passato. Così come Turno soccombe sotto la spada di Enea, il Sud continua la sua agonia sotto il peso di scelte politiche e sociali che ne hanno segnato la storia.

Questo processo trova un drammatico parallelo nell’Unità d’Italia del XIX secolo, che, lungi dall’essere un’unione spontanea e paritaria, si configurò piuttosto come un’annessione forzata del Sud al dominio sabaudo. Le politiche fiscali oppressive, la repressione del brigantaggio – spesso descritto come resistenza legittima all’invasione piemontese – e la spoliazione delle risorse meridionali contribuirono a creare un divario economico e sociale tra Nord e Sud, mai veramente colmato.

Come gli Italici della Guerra Sociale, anche il popolo meridionale si trovò a combattere per una promessa di uguaglianza che si rivelò illusoria. Il nuovo Stato unitario impose un modello amministrativo e culturale estraneo alle realtà locali, negando la complessità delle identità pregresse e soffocando le specificità economiche e sociali delle regioni meridionali. Le insurrezioni e le rivolte post-unitarie furono represse con una brutalità che ricorda le guerre di conquista romana: interi paesi vennero saccheggiati e distrutti, migliaia di meridionali furono uccisi o deportati, e un’emigrazione di massa divenne l’unica via di fuga dalla miseria imposta dal nuovo regime.

Se consideriamo l’Unità d’Italia non come una naturale evoluzione storica ma come una conquista militare del Piemonte, allora il mito di Roma, così ampiamente sfruttato nella propaganda risorgimentale, assume un significato più ambiguo e strumentale. Figure come Garibaldi, Mazzini e Vittorio Emanuele II sono state mitizzate come moderni Enea, pronti a sacrificarsi per la patria. L’idea di un destino unitario proprio come l’Eneide cerca di unire diverse popolazioni sotto Roma, la propaganda risorgimentale mirava a convincere gli italiani che la loro storia li portava inevitabilmente all’unità, nonostante le divisioni regionali. Entrambe le narrazioni usano la mitizzazione della storia per creare coesione e legittimare un nuovo ordine politico. Tuttavia, mentre l’Eneide serviva a consolidare un impero, la propaganda dell’Unità d’Italia cercava di costruire uno Stato nazionale. Il punto comune è che entrambe hanno trasformato eventi storici in epopee fondative, creando miti utili al potere a discapito di buona parte dei popoli assoggettati.

L’Unità d’Italia, dunque, ripropose lo schema narrato nell’Eneide: un’unificazione ottenuta attraverso il conflitto, la repressione e la subordinazione di un popolo a un altro. Ancora oggi, le conseguenze di questo processo sono visibili nelle disuguaglianze economiche e infrastrutturali tra Nord e Sud, in una narrazione storica che spesso minimizza le sofferenze subite dal Meridione. L’Italia unita rimane, in molti aspetti, un’unità incompiuta, fondata su una memoria storica frammentata e su un’identità nazionale costruita a discapito delle diversità locali.

Dopo l’unificazione, il Sud visse una vera e propria guerra civile, con la rivolta dei briganti contro il nuovo Stato italiano. Questo conflitto fu sminuito dalla propaganda ufficiale, che lo presentava come un problema di criminalità, ma in realtà: Era una reazione popolare all’oppressione fiscale, alla leva obbligatoria e all’esproprio delle terre demaniali. Venne represso con una violenza estrema, attraverso fucilazioni di massa, incendi di villaggi e deportazioni (in particolare in Piemonte e nelle isole minori). In questa prospettiva, il mito di Roma servì a demonizzare i briganti (paragonandoli ai ribelli contro l’Impero) e a giustificare la violenza dello Stato. Se confrontiamo questa situazione con l’Eneide, possiamo vedere una somiglianza con la guerra tra Enea e Turno: Enea, simbolo della civiltà romana, conquista il Lazio con la forza. Turno, leader dei Latini, viene sconfitto e ucciso, lasciando il potere ai vincitori. Allo stesso modo, il Regno delle Due Sicilie fu occupato, il suo esercito dissolto e la sua aristocrazia sostituita da amministratori piemontesi.

L’annessione forzata delle province meridionali al Regno d’Italia, il brigantaggio postunitario e la repressione sabauda riecheggiano la dialettica tra resistenza e assimilazione presente nell’Eneide. Il Sud Italia, come Turno, finì per essere sconfitto e inglobato in un progetto politico che, pur richiamandosi all’antica Roma, spesso ignorò le profonde differenze culturali e socio-economiche della penisola. L’Italia, più che un’unità organica, si rivela un mosaico di identità spesso costrette a una fusione dolorosa, una tensione che attraversa i secoli e trova espressione tanto nella Storia quanto nel Mito.

Dopo il 1861, l’Unità d’Italia fu gestita dal Piemonte come una vera e propria annessione, in cui il Sud venne trattato come una colonia interna. Alcuni esempi concreti:

•        Depredazione delle risorse meridionali: Il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia furono spogliati delle loro riserve auree, trasferite a Torino per finanziare il neonato Stato italiano.

•        Chiusura delle industrie meridionali: Il Regno delle Due Sicilie aveva diverse eccellenze industriali (come i cantieri navali di Castellammare di Stabia e l’industria siderurgica di Mongiana), che furono chiuse o lasciate decadere per favorire lo sviluppo dell’industria del Nord.

•        Aumento delle tasse e leva obbligatoria: Il Sud, già più povero, fu gravato da nuove tasse e obblighi militari che colpirono soprattutto i contadini.

•        Brutale repressione del brigantaggio: La resistenza meridionale fu sedata con fucilazioni di massa e devastazioni di interi paesi. Di conseguenza Il Sud entrò nel nuovo Stato in condizioni di arretratezza, mentre il Nord beneficiò delle risorse e della manodopera meridionale. Nel corso del Novecento, le politiche economiche italiane hanno consolidato questa disparità:

•        Investimenti pubblici sbilanciati: La maggior parte delle grandi infrastrutture e delle politiche industriali hanno favorito il Nord (Fiat, Breda, Pirelli, ecc.), mentre il Sud è rimasto dipendente dallo Stato per il lavoro pubblico e le pensioni.

•        Emigrazione di massa dal Sud al Nord: Milioni di meridionali sono emigrati tra gli anni ’50 e ’70 nelle fabbriche del Nord, fornendo manodopera a basso costo per l’industria settentrionale.

•        La “Cassa per il Mezzogiorno” (1950-1984): Un tentativo di sviluppo del Sud che, però, favorì più le aziende del Nord (che ottenevano gli appalti) che l’economia meridionale stessa.

Di conseguenza il Sud è rimasto una zona economicamente dipendente, mentre il Nord ha accumulato ricchezza e potere decisionale. Oggi, le regioni del Nord chiedono l’autonomia differenziata, ovvero la possibilità di gestire direttamente parte delle risorse fiscali, riducendo i trasferimenti al resto del Paese. Questa politica è sostenuta in particolare dalla Lega Nord, nata negli anni ‘80 con l’idea di separare il Nord dal resto d’Italia (il famoso concetto di “Padania”). E vorrebbero trattenere la maggior parte delle tasse che oggi vengono redistribuite anche al Sud. Questo rischia di aumentare il divario tra Nord e Sud, perché il Sud, con meno risorse, avrà meno servizi pubblici e meno investimenti. E qui siamo ad un paradosso storico; Il Nord, che ha dominato il Sud per 160 anni, ora vuole separarsene economicamente, dopo aver sfruttato le risorse del Sud per decenni, ora cerca di “staccare la spina”, lasciando il Mezzogiorno in una condizione ancora più fragile. Di conseguenza, l’autonomia differenziata rischia di essere una nuova forma di secessione, in cui il Nord si arricchisce ancora di più alle spalle del SUD.