

Nel 91′ a.c. per la prima volta con tanto di raffigurazione monetaria, appare il nome ITALIA. Questa scelta fu adottata dai popoli definiti italici, per combattere Roma contro il mancato riconoscimento ad essere cittadini romani (agevolazioni e diritti all’interno della società altrimenti non riconosciuti).
Questo primo assaggio di unità fra i popoli italici, fu il preludio a quello che successivamente Virgilio scriverà nell’Eneide. Chiaramente non farà dei riferimenti specifici e nomi reali dei posti e dei popoli interessati all’evento, ma darà la possibilità di captarne la relazione.

Occorre evidenziare come Virgilio, nel suo bellissimo poema, cercasse di toccare e di rimarcare, il conflitto fra le identità locali con quelle di altri popoli, per cercare il filo conduttore che potesse tenerli uniti.
Una connessione fra il mondo moderno ed attuale con l’Eneide, la troviamo spesso nell’opera virgiliana. Egli, Virgilio, vorrebbe mandare un messaggio forte, vorrebbe dare speranza ai popoli conquistati, con il superamento delle proprie origini, con l’integrazione dei territori dell’Italia dell’epoca, ma nonostante i suoi sforzi, i popoli autoctoni finiscono sempre per subire delle sofferenze.

Come ci fornisce alla fine, l’immagine violenta, nella quale il campione italico, Turno, intento a sollevare una pietra di confine per usarla come arma contro Enea verrà ucciso.
“nec plura effatus saxum circumspicit ingens, saxum antiquum ingens, campo quod forte iacebat, limes agro positus litem ut discerneret aruis. uix illum lecti bis sex ceruice subirent, qualia nunc hominum producit corpora tellus; ille manu raptum trepida torquebat in hostem altior insurgens et cursu concitus heros. (XII 896-903)”
Trad. (Non disse di più; scorge attorno un macigno immenso, un macigno vetusto, immenso, confine d’un campo che stava per caso piantato nel piano, a dirimere discordia dalle colture. A stento sul collo ricurvi l’avrebbero sorretto due volte sei uomini scelti, quali sono oggi i corpi che la terra produce: afferrato con mano tremante l’eroe lo tirava sul nemico, slanciandosi più verso l’alto e sospinto dalla rincorsa).

La prima fase di avvicinamento e di tentativo di pacificazione si avrà quando Virgilio scrive della profezia, nella quale, il re Latino incontrato da Enea, si è visto promettere che se sceglierà uno straniero come genero la sua stirpe diverrà padrone di tutto.
Come dice il Prof. Alessandro Barchiesi nel suo Bellum Italicum (l’unificazione dell’Italia nell’Eneide), dal quale questo lavoro prende spunto; il Re Latino usa “sangue” nel senso di “discendenza”, ma qui l’ironia Virgiliana entra di scena, e quello che incomberà sulla gente latina, è piuttosto un bagno di sangue; e usa nomen nel senso di fama, ma nomen Latinum per i Romani indica il contributo più significativo che i Latini daranno per secoli a Roma: la partecipazione all’esercito.

Infatti, sembra che gli Italici, con la fondazione della loro capitale Italica Corfinium (90 a.C.), si basassero su una rivendicazione dell’idea, che non si poteva più donare il proprio sangue per coloro che non davano importanza alla consanguineità.
Virgilio, cerca di far apparire il popolo romano come il risultato di fusioni tra popoli, in cui gli antichi progenitori troiani hanno agito come catalizzatori.
Ed il passaggio cruciale sta proprio qui; l’enfasi non cade sulla purezza e permanenza del sangue e della genealogia, ma sul destino imperiale che contraddistingue Roma.

Nell’Eneide, si comincia ad intravvedere la similitudine con la Guerra Sociale, quando Virgilio parla della battaglia di Azio, come ad un evento cruciale nella storia e nello spazio del Mediterraneo, e addirittura di Augusto che comanda gli Italici, Italos, contro Cleopatra.
Secondo “Andrea Giardina” , nel suo lavoro:( “L’Italia romana: storie di un’identità incompiuta”, Roma 1997); generalizzare troppo in questo senso va non solo contro la complessità storica ma anche contro la lettera dei testi augustei, e in effetti le cose cambiano se si sceglie una serie di eventi che nessun monumento e ben pochi testi romani hanno celebrato, e che si svolse in località meno “internazionali” di Azio, un luogo che appare predestinato a uno scontro fra Oriente e Occidente: l’oscura catena di rivolte vendette e repressioni che i Romani stessi esitano su come definire, bellum Italicum, bellum sociale, bellum Marsicum, oppure, se scrivono in greco, “guerra degli alleati”.
Alessandro Barchiesi, scrive nel suo lavoro, che non c’è da stupirsi se Virgilio mai alluda o evochi, la guerra degli Italici. Persino i suoi commentatori antichi, così pronti a cogliere risonanze di eventi storici nel poema, non segnalano mai questo tipo di contesto storico.

La guerra sociale è un evento semicancellato, fu un conflitto traumatico nella memoria collettiva, l’unica guerra romana che non sarebbe mai dovuta accadere. Non c’è da stupirsi quindi che non sia tra i riferimenti
storici più comuni nell’interpretazione dell’Eneide.
In termini di tempo trascorso dall’evento alla composizione dell’Eneide può essere normale, si sa che bastano un paio di generazioni per cancellare o consolidare determinati eventi, e se a Roma non se ne parlò da padre in figlio, non sembra possibile che i nonni di Ovidio, nel cuore del territorio peligno, non possono non essere stati coinvolti dal conflitto stesso. Non sembra possibile che Orazio, nato nell’unica colonia latina che si era schierata con gli insorti, Venusia, che per questo fu punita, e i fasti della città si aprono con l’annotazione “dopo la guerra marsica”, non ne abbia mai parlato.
Si, si trattò proprio di cancellazione, nonostante in generale all’élite romana, l’inizio di carriera, è segnata dalla guerra italica; nonostante questa élite con l’élites italiche erano a stretto contatto, negoziati febbrili, complotti e disordini, fino a un’esplosione di violenza inimmaginata.
Alcuni aspetti dell’Eneide, evidenziano il legame che si instaura tra guerra e territorio italico.
Sempre secondo Alessandro Barchiesi, il simbolo e la sublimazione di questa caratteristica sono i popoli della montagna e dell’entroterra. Sono questi appunto i popoli che Virgilio, contro qualsiasi tradizione antiquaria e mitologica, mobilita e fa marciare contro Enea nel trascurato catalogo degli Italici che chiude il libro VII. Enea in effetti dovrebbe lottare al massimo con i popoli della costa laziale, latini, rutuli o etruschi che siano, ma mai con altri popoli; mai se non vi fosse stato il trauma collettivo del bellum Italicum.

Fra di loro non mancano i Marsi, il popolo eponimo della guerra che Virgilio ha dimenticato di citare: sono visti nella loro versione più remota e aliena, come incantatori di serpenti, discesi da Medea o dalla maga Circe. Il dinamismo degli Italici si accompagna a un notevole senso di anarchia e di confusione.
I popoli delle montagne, vengono definiti in maniera incerta anche da Plinio indicandoli con identità labile ed incerta, scrivendo di 🙁nat. III 12,106: Anaxatini Atinates Fucentes Lucenses Marruvini), come riordinati in un ordine meramente alfabetico.
Virgilio, ha modificato e ricombinato tutte le fonti sulla guerra di Enea nel Lazio, in modo da avere un’opposizione tra due blocchi di alleanze: da una parte Turno con tutti i Latini e con vari popoli italici, quali Volsci, Sabini e Marsi; dall’altra Enea alleato degli Etruschi e dei Greci di Evandro.
Nel bellum Italicum, fu proprio la solidarietà e la non belligeranza di Etruschi e Magnogreci a facilitare la riconquista dell’Italia peninsulare da parte di Roma. La dimensione e la natura del conflitto rievocano quindi non solo, come si è sempre sostenuto, la memoria recente delle guerre civili, ma anche la memoria della divisione fra Italici e Romani nel bellum sociale. (Omero per Strabone – K. Clarke, Between Geography and History,Oxford 1999)

Una definizione secondo molti consolatoria della guerra sociale, e quella che sia servita ad unire i popoli. Definizione azzardata in quanto non è sicuro che effettivamente fosse l’integrazione l’ obiettivo di questi.
Virgilio rende omaggio a questa idea quando rappresenta lo scoppio della guerra come un “fondersi insieme” di genti che vanno a formare una sorta di embrionale unità italica.
I popoli italici nel poema sono visti e rivalutati nel loro potenziale contributo a Roma, ma anche nel loro terribile potenziale di resistenza e disordine.

Nella realtà della Guerra Sociale, in ogni caso è difficile spiegare le reali intenzioni dei confederati.
Da un lato della moneta abbiamo il sacrificio e il giuramento paritario come messaggio di unità italica, ma anche come modulo ormai tradizionale della propaganda romana. Infatti il giuramento, il patto, e il sacrificio contro Roma ci rimandano esattamente alle immagini di foedera tra Romani e Italici che caratterizzano la monetazione romana. L’altra faccia della moneta invece presenta un’immagine dell’Italia che è ricalcata, in funzione antagonista ma anche con una certa subalternità culturale, sulle immagini romane di Roma.
Barchiesi afferma che gli insorti rivolgono contro i Romani la loro stessa propaganda, ma la realtà dell’Italia antica, come Virgilio stesso sapeva, è più intricata e osmotica, e il problema dell’identità è quello di un bisogno di distinzione dentro una storia millenaria di intrecci e scambi.
Così i neo-Italici di Corfinio, mentre sperimentano la loro unità italica antiromana, hanno una scelta già segnata da subalternità a Roma.

L’Eneide dà forma narrativa a tutte le contraddizioni italiane, più che mai valide ancor oggi, il suo significato non è quello di rappresentare un processo ormai concluso, ma una forma di unione forzata sotto mentite spoglie, spoglie che come per il campione italico “Turno”, portano il meridione a continuare la sua agonia sotto la spada prepotente, di chi non vuole riconoscere le scelte scellerate fatte negli anni.