La canapa è una pianta antichissima, coltivata da migliaia di anni, già dal Neoliotico. Alcuni ricercatori attestano l’uso della canapa addirittura ad oltre 10.000 anni fa dall’asia minore.
Il primo reperto sulle proprietà mediche della cannabis è un trattato di farmacologia cinese attribuito all’Imperatore Shen Nung, datato 2737 a.C.
Gli antichi greci si dice che non ne facessero uso, ma la
commercializzavano con altri popoli che, invece, ne facevano uso alimentare o
ricreativo.
Alcune scritture di Erodoto (5 a.C.) attestano l’utilizzo della canapa da parte
degli sciiti (popolo seminomade dell’Iran) e degli abitanti di alcune isole del
Mediterraneo che amavano “sedersi intorno in circolo, inalare e venir
intossicati dall’odore (…) fino ad alzarsi, ballare e cantare”.
Questa pianta è stata frequentemente utilizzata anche per produrre carta: la prima copia della Bibbia di Gutenberg è stata stampata su carta realizzata appositamente in canapa in Italia nel 1453.
Nel 1800 l’uso ricreativo della canapa divenne una vera e propria moda tra gli intellettuali, tant’è che a Parigi nacquero anche dei Club di mangiatori di hashish frequentati da scrittori famosi come Hugo, Dumas, Baudelaire e Balzac.
In Italia la coltivazione della Canapa si sviluppò in maniera esponenziale, in quanto il territorio ed il clima erano favorevoli all’attecchimento di questa specie. Essa era impiegata per molteplici usi fra i quali l’utilizzo per l’illuminazione in quanto molto oleosa, veniva inoltre impiegata nella realizzazione di tessuti, corde e carta e le foglie venivano utilizzate come alimentazione del bestiame.
In Italia la produzione di canapa ha subito un incremento notevolissimo negli ultimi secoli da divenire lider nella produzione di cordami per la marina e per la creazione di indumenti e tessuti in genere.
La Canapa nella Marsica
La Marsica grazie alla fertilità ed all’umidita del bacino fucense, era molto adatta alla coltivazione della canapa, e solo dopo molti anni dal prosciugamento e dall’avvento di nuove fibre tessili, l’uso è cessato. Anche dopo il prosciugamento del lago, gli innumerevoli canali di irrigazione erano usati per la macerazione della canapa con dei veri e propri addetti che ne curavano l’immersione ed i tempi di macerazione.
La lavorazione della canapa era un lavoro faticosissimo, dal taglio e via via successivamente, tanto da essere considerato quasi un lavoro da schiavi quanta era enorme la fatica.
In ogni caso dopo l’inizio del 1900, la produzione cominciò man mano a diminuire con l’avvento di nuove rotte commerciali e con l’avvento della concorrenza d’oltre oceano, nonché dall’entrata in uso di nuove fibre tessili. In ogni caso fino agli anni 50’, ancora era in uso.
Da noi nella Marsica, la preparazione del terreno avveniva in estate dopo aver tagliato il frumento. Ad avvenuta rotazione con altri prodotti negli anni precedenti venivano arate le stoppie per poi seminare la canapa ad inizio primavera.
La semina della canapa esigeva delle lavorazioni particolari essendo una pianta con un radicamento notevole. Nelle due arature necessarie, la seconda esigeva il concime (letame “L stabbij”) ed il seme. In autunno veniva fatta una specie di vangatura, per poi successivamente nel tempo essere sostituita dall’aratro (Jaratr) trainato da buoi. L’ aratro creato appositamente in modo particolare, era comunemente chiamato “aratro zoppo”, per via delle ruote in quanto il diametro di una delle due ruote fu aumentato per poggiare sul fondo del solco (ai sulg), mentre l’altra ruota piu’ piccola poggiava sulla terra soda (all sod). In questo modo, l’aratro lavorava sempre in piano.
Nei lavori di rottura delle zolle specialmente nelle stagioni secche, era utilizzato l’erpice (J’erp(e)c) che permetteva di intervenire in una quantità maggiore di terreno, rispetto alla rottura manuale zolla per zolla.
Circa la metà di Marzo i contadini del Fucino procedevano con la semina a “gettata”, tecnica che avveniva calibrando bene la forza e la schiusa della mano, mano che si era prima riempita con il seme contenuto in una cesta appesa a tracolla dal contadino.
Successivamente ragazzi e donne con la zappa e con il rastrello, camminando a ritroso, cercavano di ricoprire i semi gettati.
Tra fine luglio e l’inizio di Agosto, avveniva la raccolta. Si tagliavano con il falcetto (s(e)rricchij ) a qualche centimetro dal suolo, facendo dei fasci (manoppi). Questi manoppi, venivano depositati a due a due a forma di croce per permettere al sole di asciugarli ulteriormente. Ad asciugatura avvenuta dopo qualche giorno, i manoppi erano battuti per terra (sbattut nderr) per distaccarne foglie e inflorescenze.
Una volta tolte le inflorescenze, venivano legati a fasci di medio diametro 15/20 cm della lunghezza di circa un metro e messi a bagno nell’acqua per aumentarne la resistenza. Dopo questa fase, i fasci venivano riuniti e a seconda dei paesi se ne formavano altri più grandi messi in acqua a macerare. Questa operazione era necessaria affinchè la fibra tessile si separasse dal legno ad opera di microorganismi che ne facilitavano il processo.
In tutto il circondario della Marsica dall’800 alla prima metà del 1900, in quasi tutti i fossi, canali, sorgenti, acquitrini, e quant’altro, nascevano i cosidetti “maceri”, che erano pozze d’acqua costruite o rese idonee allo scopo del contenimento dei fasci di canapa.
Finita l’operazione i maceri spesso venivano utilizzati dai figli dei contadini come vasche per farvi il bagno, oppure a volte pescarvi dei pesci e non raramente le rane.
I fasci immessi nel macero, erano uniti e sopra di essi venivano messi grossi sassi per provocarne l’affondamento. Tale affondamento veniva mantenuto per circa una settimana, a seconda del giudizio di personale specializzato a questa operazione. Finita la macerazione, iniziava la fase più faticosa. La famiglia, o intere famiglie si aiutavano (raijutarella) alla pratica del recupero della canapa dal macero. In sostanza gli uomini si posizionavano dentro il macero dove in alcuni casi l’acqua arrivava alla cintola, e dopo aver tolto le grosse pietre, facevano riemergere i fasci con calma e li scioglievano in una delle due legature. Sciolti i fasci, venivano rituffati in acqua e sfregati in modo da eliminare gli ultimi residui legnosi, fatto questo si ripiegavano su se stessi facendo unire i due capi e l’intera matassa veniva trasportata a riva dove altre persone le trasportavano in un punto convenuto.
Venivano poggiate in un prato e per tre quattro giorni si lasciavano asciugare ed erano successivamente depositati in androni o appositi depositi. Tutte le operazioni di distacco della fibra dal materiale legnoso successivamente avveniva tramite la scavezzatura manuale. Tale lavorazione avveniva tramite la battitura del fascio di canapa macerato. Su una panca di legno rinforzato, una donna faceva passare il fascio, ed ogni centimetro di passaggio, un uomo con un grosso bastone di legno percuoteva il fascio provocandone la frattura in modo da ottenere il distacco definitivo del materiale legnoso. Successivamente e fino agli anni 50’, si usava la gramola, che era un utensile apposito che batteva la canapa e lo poteva usare anche una sola persona.
I fasci oramai senza più materiale legnoso, venivano arrotolati a mo di matassa e depositati per le successive lavorazioni e lo scarto della battitura veniva riposto per alimentare il camino e i forni.
Oltre quanto detto i contadini procedevano alla raccolta dei semi provenienti dalle piante femmine di canapa lasciate nel terreno ancora intatte, affinchè i semi maturassero. Una volta raccolti i semi dalle chiome della pianta, anche esse erano sottoposte a maceratura, ma essendo la qualità delle fibre più scadenti a causa della lunga maturazione, non erano sottoposti a battitura ma erano spogliati tramite, estrazione della fibra tirandola dall’interno del fusto, e gli alti fusti venivano utilizzati per gli steccati, o impalare i fagioli, oppure per altre decine di usi .
Le famiglie fucensi la canapa, tranne alcune che la vendevano, la tenevano per se. Le donne per la filatura e gli uomini per farci le corde ed altro.
Nella filatura, la canapa veniva in alcuni casi mischiata con la lana di pecora oppure filata da sola. La prima operazione era la pettinatura, che spesso veniva fatta anche da altre persone pagate a giornata, oppure sempre con la solita “raijutarella”.
Le fibre per la filatura non necessitavano essere di eccessiva lunghezza, ma di poco spessore e morbidezza. Per il cordame la lunghezza ottimale era invece molto più lunga e robusta.
Dalla pettinatura si ottenevano diverse qualità di prodotto per filare a seconda della particolarità della canapa. Con il filo più pregiato si facevano vestiti, lenzuola asciugamani, pannolini, etc. Con quello meno pregiato ci si facevano coperte o cappotti o altri asciugamani per la cucina, le “spare” etc.. L’ultima scelta rappresentava quella utilizzata per le funi, i sacchi, le “vanne”, la bisacce (vusacc) ed i materassi di cartocci (scartocc) etc..
La filatura nella Marsica è avvenuta fino agli anni 1940/50 sempre con rocca e fuso. Successivamente anche con il filatoio più rifinito, ma la classica rocca di vimini con l’estremità divisa in quattro parti per contenere la fibra da filare era sempre utilizzata e mai accantonata.
La fibra da filare veniva poggiata o avvolta nella rocca o conocchia (Knocchij). La filatrice infilava la Knocchia alla cintola o la inseriva in un foro fatto appositamente in una tavola in modo da non farla muovere durante l’operazione, pian piano estraeva un filamento inserendolo nel fuso con un nodo. Mentre con la mano destra imprimeva la rotazione al fuso in modo da unire le fibre, con la sinistra estraeva delicatamente l’altra fibra dalla knocchia e così via. Durante la lavorazione spesso si doveva inumidire il filato usando la saliva. Quando il fuso toccava il pavimento, il filo veniva legato, e riportato in alto il fuso si ritornava a fare l’operazione appena descritta fino ad esaurimento della fibra all’interno della knocchia.
La conocchia ed il fuso, essendo strumenti che sarebbero stati utilizzati sicuramente da tutte le donne, venivano regalate dalle future suocere alle nuove come corredo.
La lavorazione della canapa dopo la maceratura e scavezzatura, era quasi identica alla lavorazione della lana e del lino, fibre anch’esse utilizzate molto nel nostro territorio.
Giancarlo Sociali