La democrazia poggia sulla forza dei numeri. Il popolo si illude di essere sovrano, invece è servo sciocco dei propri rappresentanti, che una volta eletti gettano la maschera e mostrano la vera vocazione dell’homo politicus: trarre profitto e manipolare. C’è una frase di Pirandello che dovrebbe indurci a riflettere: “La causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual è? La democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza. Perché, quando il potere è in mano di uno solo, quest’uno sa d’essere uno e di dover contentare molti; ma quando i molti governano, pensano soltanto a contentar se stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa, la tirannia mascherata da libertà”. La democrazia ha tagliato le gambe agli onesti e agli idealisti, favorendo l’ascesa al potere degli arrivisti, degli incapaci, dei buffoni. Non produciamo statisti da tempo indefinito ma solo piccoli uomini politici faziosi, avvinti agli interessi e alle ambizioni di parte, e vantiamo la peggiore classe partitica europea, la più arrogante, statica e imbelle.
La democrazia nostrana ha ucciso il merito e premiato i clientes, come nell’antica Roma, assegnando ai Cacasenno di turno cariche e prebende pubbliche. Oggi, l’uomo crede di essere libero, mentre non è mai stato così schiavo. Schiavi persino persuasi di poter interpretare la realtà, anche se quella che vedono è solo un’ombra, come quella mostrata ai prigionieri della caverna raccontati da Platone nel settimo libro de La Repubblica. In esso si ritrova – espressa nel linguaggio accessibile del mito – tutta la teoria platonica della conoscenza, ma anche si ribadisce il rapporto tra filosofia e impegno di vita: conoscere il Bene significa anche praticarlo; il filosofo che ha contemplato la Verità del Mondo delle Idee non può chiudersi nella sua torre d’avorio: deve tornare – a rischio della propria vita – fra gli uomini, per liberarli dalle catene della conoscenza illusoria del mondo sensibile. Proponiamo la lettura di queste pagine senza ulteriori osservazioni e commenti, convinti che lo scritto platonico non li richieda. Socrate parla in prima persona; il suo interlocutore è Glaucone.
La lettura del mito della caverna di Platone può essere uno stimolo per comprendere l’odierno pensiero unico che, tramite la globalizzazione dei mercati, si è impadronito di quasi l’intero pianeta. In questa opera Platone racconta di un gruppo di uomini incatenati fin dall’infanzia in una caverna con dei fermi alle gambe e al collo che gli impediscono il movimento. La loro condizione di schiavitù non gli permette di vedere direttamente cosa accade alle proprie spalle e ovviamente nemmeno all’esterno della caverna. Possono solo intuire cosa succede intorno a loro, attraverso delle ombre che sono proiettate su di un muro. Infatti, in alto, alle loro spalle brucia un grande fuoco e tra il fuoco e i prigionieri, c’è una strada rialzata e lungo questa strada è stato eretto un muro, una sorta di sipario, lungo il quale alcuni uomini trasportano forme di vari oggetti e animali. Queste ombre sono proiettate dinanzi ai prigionieri che essendo legati fin da piccoli e impossibilitati a muoversi ipotizzano essere la realtà. Una realtà però fallace. Per Platone i prigionieri rappresentano la maggioranza dei cittadini che si trovano in un sostanziale status di schiavitù intellettuale perché impossibilitati a riconoscere la verità. Ad un certo punto però nel racconto di Platone c’è un colpo di scena. Un prigioniero riesce a liberarsi e sale in superficie. Una volta giunto fuori dalla caverna la luce del sole è abbagliante, è dolorosa. Gli occhi sembrano bruciare. L’ex prigioniero si trova a disagio. E’ persino tentato di tornare nella sua condizione precedente. Ma poco alla volta i suoi occhi si adattano alla luce e quindi riesce a vedere la realtà. Una realtà che, ovviamente, contrasta completamente con quella finta fatta di ombre nella quale aveva trascorso la sua precedente vita da prigioniero. Quando l’uomo torna nella caverna per raccontare la sua esperienza agli ex compagni di catene, quest’ultimi non gli credono.
I prigionieri difendono le loro catene, la loro condizione di schiavitù. Platone scrive: “Non ucciderebbero chi tentasse di liberarli e di condurli su, se mai potessero averlo tra le mani e ucciderlo?” Questa metafora di Platone ben rappresenta la condizione odierna ove élite economico finanziarie controllano i mezzi d’informazione, il denaro e purtroppo anche la politica. Ma soprattutto controllano le coscienze. La maggioranza delle persone è cresciuta in una condizione di prigionia moderna, più sofisticata e subdola rispetto a quella raccontata dal filosofo greco. Una prigionia economica che ha trasformato i cittadini in consumatori, dove è possibile, ammesso che si abbia un salario, scegliere tra la miriade di oggetti esposti in un supermercato, ma non essere liberi.
Ognuno deve tentare di rompere le proprie catene e, anche se inizialmente la consapevolezza di aver vissuto in una finzione potrà far male, si sarà guadagnato la libertà.
Giancarlo Sociali