Per poter capire e confermare quanto da me descritto nel titolo dello studio, dobbiamo
partire dalla “POSSIBILE IDENTIFICAZIONE DI DUE LOCALITA’ INCOGNITE DEL
LIBER COLONIARUM” , lavoro di GIACINTO LIBERTINI, e estrapoliamo un passaggio
che dà avvio al mio ulteriore studio.
-Nella raccolta di testi antichi riguardanti l’antica professione agrimensoria e conosciuta
come Gromatici Veteres (Gli antichi agrimensori)1, o anche Corpus Agrimensorum
Romanorum (Raccolta di scritti degli agrimensori romani)2, una parte importante e ricca
di preziose informazioni è costituita dal Liber Coloniarum. Ebbene, in questi libri, c’è la
menzione di alcuni centri abitati, ed il Libertini con una serie di studi, identifica in uno di
essi, il territorio appartenuto a Celano. La considerazione del Libertini che a questo punto,
accende una luce importante per la storia del territorio Celanese, riguarda l’indipendenza
latifondiera da Alba Fucens e dalla stessa Marruvium chiaramente in epoca romana di tale
fondo Celanese. Tale tesi da mè ritenuta realistica ed in seguito ve ne spiego il motivo,
delinea insolitamente, per il nostro territorio, un Liber Coloniarum. Il Liber Colonarium è
una raccolta di testi più antichi costituita nel IV-V secolo. Esso ci è pervenuto dopo una
serie di trascrizioni, eseguite in epoche precedenti o successive alla formazione della
raccolta, che in molti punti hanno più o meno corrotto le scritture originali.-
Dopo le varie spiegazioni di ricomposizione toponomastiche e letterali delle località
inserite nel Liber Colarium, il lavoro al quale volevo giungere è che da un attento riesame
della strigatio di Alba Fucens, condotta dal Libertini, con software particolare sulle mappe
satellitari di Google Earth©, oltre a confermarla nelle zone indicate da Chouquer et al. e ad
estenderla in altre limitrofe, evidenzia una novità molto interessante. A partire dalla zona
di Paterno (fraz. di Avezzano) e verso Celano, i limiti appaiono tutti spostati verso nordovest, ortogonalmente alla loro direzione, di circa 71 metri, ovvero di circa 2 actus. (Unactus era pari a 120 piedi, ovvero circa 29,57·120 = cm 35,48 metri. Pertanto 2 actus = 70,96metri).Tale spostamento è preciso e costante e corrisponde a un multiplo di actus e
pertanto deve essere considerato un atto voluto per distinguere la limitazione.
Sappiamo dai Gromatici Veteres che differenzazioni fra vicini schemi di suddivisione del
territorio erano utilizzate per distinguere territori appartenenti a diverse comunità. Come
esempio, non riportato nei Gromatici Veteres, le centuriazioni Acerrae-Atella I e Neapolis
avevano lo stesso modulo e la stessa inclinazione ma erano sfasate fra di loro24 e ciò per
demarcare la divisione fra il territorio di Neapolis e quello degli altri due centri. Ciò ci
permette di affermare che il territorio di Alba Fucens aveva come suo confine la zona di
Paterno e che da quel punto iniziava il territorio di una diversa comunità.
Tralasciando la possibile identificazione di Casentium/Asetium corrotto da Caelanum,
che già potremmo ben sposare come identificazione, vorrei puntare i riflettori sull’altra
località non identificata nei Liber Coloniarum, e cioè Divinos. Notiamo ora che Invinias
può essere una facile corruzione di Divinas: Di/ uin/ a/ s – In/ uin/ ia/ s, e che il centro
Divinos menzionato nel Liber Coloniarum potrebbe essere una semplice corruzione di
Divinas. Il significato poi del toponimo, nella forma Divinas ma anche in quella di
Divinos, sarebbe facilmente spiegabile.
Divinos si potrebbe interpretare come abbreviazione di “Ad Divinos”, ovvero presso i
Divini, ovvero gli imperatori, con omissione di “ad”. Ma è da notare che in tutti i toponimi
con “ad” si fa sempre riferimento a un qualcosa di fisico e mai a una persona. Meglio è
dunque interpretare il termine Divinas come abbreviazione di “Ad Divinas Domos”,
ovvero presso le abitazioni dell’imperatore, anche qui con l’omissione di “ad”.
Il Liber Colonarium in altre parti, come l’esempio fatto dal Libertini riguardo a Quartum,
spesso era facile che nell’uso potesse abbreviare la forma, omettendo la preposizione “ad”.
Ad esempio, l’attuale comune di Quarto presso Pozzuoli, anticamente si chiamava Ad
Quartum, e il nome attuale deriva dall’abbreviazione Quartum. Così pure il luogo Ad
Tricesimum a trenta miglia da Aquileia è ora Tricesimo (UD) dalla forma abbreviata
Tricesimum”, ci attesta che il centro fu fondato dalla famiglia di Augusto e che il suo
territorio fu affidato direttamente alla stessa famiglia, presumibilmente con un decreto
dell’imperatore, e non mediante una legge. Pertanto il centro era una proprietà privata
imperiale ed è facile ipotizzare che avesse residenze (domus) degne di un imperatore,
anche perché il luogo era vicino a Puteoli, con vista sul golfo omonimo e quindi di certo un
luogo ottimo per risiedere e svagarsi.
Questo breve passaggio era d’obbligo perché dalle infinite ricerche, ho trovato uno scritto
riferito da Don Mario Del Turco in storia di San Potito. In detto scritto si legge ed è ora
accertato, che sotto San Potito ci sono i ruderi della residenza imperiale di Lucio Vero,
fratello di Marco Aurelio, imperatore romano, associato all’Impero nel 161. Il Prof.
Manfredo Santucci, nativo di San Potito, latinista e insegnante a Roma, ricercatore delle
varie “passio” del martire San Potito e autore di una vita dello stesso, diceva a Don Mario
Del Turco menzionando gli scritti di Febonio, Corsignani e Di Pietro, che essi, avevano
ripreso un’antichissima tradizione che indicava gli Antonini, in special modo, Lucio Vero,
presenti a San Potito, nella Marsica, presso una villa residenziale, da loro fatta
costruire.(Lucio Ceionio Commodo Vero, più noto semplicemente come Lucio
Vero (in latino Lucius Ceionius Commodus Verus; Roma, 15 dicembre 130 – presso
Altino, gennaio 169), è stato un imperatore romano e governò insieme al fratello d’adozione Marco Aurelio, dal 161 sino alla morte).
Egli affermava che le mura diroccate del “Castiglione” – così si chiamano i resti del Castello
piantato sull’omonimo Colle di San Potito, erano i ruderi delle sovrastrutture medioevali
della villa imperiale degli ultimi imperatori adottivi, detti anche Antonini.
Infatti in località “Pago” erano presenti le tracce e visibili i resti delle Terme e
dell’Anfiteatro della villa imperiale. La permanenza di Lucio Vero a San Potito sarebbe
derivata dalla necessità dello stesso imperatore di rimediare ad una cisposi, contratta
durante la guerra contro i Parti del territorio assiro.
La villa imperiale, degna di tal nome, doveva comprendere la domus o palatium, il
fundus, il pagus, le Terme, l’anfiteatro e persino un Teatro, di non grandi dimensioni. Il
Palatium o Domus, con appropriati locali attigui, costituiva la residenza della Corte
imperiale. Il Fundus era il territorio, piu’ o meno vasto, adatto a ricavare prodotti d’ogni
genere per il mantenimento della Villa,ma soprattutto da commerciare, oltre i propri
confini, dentro un sistema di scambio anche internazionale. Il Pagus, come distretto rurale,
riuniva i vari agglomerati umani di quanti svolgevano specifiche arrivata’ in ordine ad una
economia ben strutturata. Le Terme, l’Anfiteatro e ìl Teatro rappresentavano ed
esprimevano l’alto tenore di cultura, civiltà e benessere dei proprietari o dei gestori della
Villa stessa. Piu’ a Sud, nella circostanza dell’interramento della condotta ídrica per
Celano, sono stati avvistati vani di Terme, ìntonacatí di cocciopesto finissimo e maíolicati
di piastricine di marmo e pasta di vetro.
L’intero territorio del Fundus risulta delineato e descritto, entro i suoi limiti, nell’atto di
donazione che Nerino, figlio del fu Bonomo, fece nel mese di Febbraio dell’anno 1074,
all’Abbazia di Santa María di Farfa, circa alcune sue proprìeta’, síte nella Marsica, “in loco
qui dicítur ad Sanctum Potitum”. Questo l’atto di donazione: “In nomine Domini Anno
incarnatíonis domini ìhesu cristi millesimo LXXIIII. In mense februari, Indictione XII. Constat me nerinum filíum quondam bonominis bonae memoriae Insuper concedo alias meas res quas habeo in alio comitatus in territorio Marsorum, in loco qui dicitur ad Sanctum Potitum, inter affines:A primo latere rivus possus, et vadit in serram de Columella, A ij latere pergit in robore, et pergit in furcam de robore, et pergit in cacumen montis maniolae, et venit in publicum. A iij latere mons humanus, et descendit in aquam de Fucìno. A iiij latere aqua de fucíno cum mea portione de ripa.”
E’ qui i conti tornano. Anche a parer mio, il confine del Fundus, in senso antiorario,
iniziava all’attuale Fosso 15 dell’alveo del Fucíno, detto la Tenaglia, a Nord del Bacinetto, il
quale deriva da Rio La Foce, ad Est della localita’ la Fossa. Saliva, per le Gole di Celano,
alla Fonte degli Innamorati e al Fontanile della Valle, fino a Balzi del Sirente.
Dì la’, raggiungeva i Balzi dell’Anatella, Monte Cerasole e la rupe di Rovere. Ancora a
Nord, per Vado di Pezza e Colle dell’Orso, arrivava, ad Ovest, a Sentinella su i monti della
Magnola; scendendo a la Maina, lungo lo schienale di Monte Mallevona, Pratì d’Oro, la
Forchetta, il Rio di Santa iona, l’attuale Fosso 10, tornava al Fucíno, con tutte le pertinenze
ripuarie e le attinenze all’industria di pescherìa, sino all’attuale Fosso 15, presente il Lago.
Il Fundus comprendeva le terre di Celano, Ovindoli, Rovere, Santa Jona, San Potito e parte
di quelle di Forme di Massa d’Albe. Aveva un circuito di oltre 50 chilometri, un’estensione
di circa ventimila ettari. Nel suo ambito era riforníta d’acqua potabile dalle Sorgenti
perenni di Fontegrande di Celano, Santa Eugenia, Fonte di San Potito, Fonte degli
Innamorati, Fontanile dì Curti, Fonte del Puzzacchio, Fontanile Menevere, Fonti Tavoloni
e da sorgive non perenni o intermíttenti qualì Acqua delle Fate, Pago Rurale, Formarotta,
Fonte Sanguisuga, Fonte del Fossato, Traglia e Mascíone che alimentavano il Rio di Capo
La Valle di San Potito. Riguardo alla viabilita’, il fundus della Villa imperiale disponeva di
due vie carrabili e di sentieri mulattieri. Carrabile era il tratto di via derivato dalla Valeria,
per Auretinum, che seguendo, a risalire, il Río di San Potito, raggiungeva la zona
residenziale, attraverso il ponte romano, ancora visibile.
Carrabile era ancora la via che dalla pìana dì San Potito, attraverso la Maina, portava ad
Alba Fucens. Essa, dopo aver costeggiato l’attuale Corno Miccio, presso Santa Jona, lungo
il fossato del Fondovalle del Rio di Santa Eugenia e di Fonnarotta, risaliva ad Ovest di
Monte Casale a Capo La Maina e per la zona di Santa Maria, arriva ad Arci e quindi ad
Alba Fucense.
Mulattiere erano le vie da Ovindoli a Capo la Maina e da Ovindoli alla zona residenziale
della Villa. Il Fundus era attraversato, a Sud, quasi lungo l’alveo del Fucino, dal Tratturo.
Disponeva nello stesso tempo di un tratturo dì tipo verticale, che lungo il corso del Rio di
San Potito risaliva al piano di Ovindoli.
Con l’arrivo dei Longobardi nella provincia Valeria nel 571-574 segna la storia della
Marsica con la definitiva conquista nel 591 ad opera di Ariulfo, secondo Duca di
Spoleto. Della primitiva conquista della “Valeria provincia ” che unitamente ai territori dei
Vestini, dei Marsi e dei Peligni, viene inserito nel territorio di Spoleto. Una descrizione del
richiamo del papa Gregorio Magno che evidenzia l’uccisione per impiccagione di due
monaci e la decapitazione di un “venerabilis diaconus ….. in Marsorum provincia”
(Gregorii Magni, IV, 262, XII – XXIV), ci fa capire la mancanza di un vescovo nel territorio
marso, ma soprattutto la presenza di monaci probabilmente ancora addetti alla
conversione dei gruppi pagani che sopravvivevano nell’interno degli insediamenti rurali
appenninici.
Agli inizi del successivo VII secolo si ha nella Valeria, inserita nel Ducato di Spoleto la
nascita nella Marsica di una gastaldia locale retta da un gastaldius Marsorun.
Nello stesso secolo, nel 608, un prete nativo dalla Marsica diventa papa col nome di
Bonifacio IV: “Bonifatius natione Marsorum de civitate /leggi: prorvincia Valeria “(Liber
Pontificalis, I, 317). Alla meta del secolo i Longobardi si cristianizzano ed iniziano a
costellare il territorio di chiese dedicate a S. Angelo, come la Sancti Angeli in Arcu delle
“Cese di S. Marcello”, santo armato e protettore del guerriero longobardo (Arimanno).
La conquista longobarda mette fine alle strutture amministrative romane ed anche alle
primitive diocesi cristiane attestate in territorio albense.
Dei vecchi municipia di Alba e Marruvio non rimane traccia alcuna come ben descritto
dallo storico longobardo Paolo Diacono, vissuto nel 720-799: “La tredicesima regione e la
Valeria, ….. Le sue città più importanti sono Tivoli, Carsoli, Rieti, Forcona e Amiterno; vi si
trova pure il territorio dei Marsi con il Lago Fucino” (Hist.Long., II, 20).
Dalle prime notizie dell’area fucense in età longobarda e prima età franca sappiamo che i
fundi documentati in piena età imperiale romana sono in gran parte riuti1izzati dalle
ecclesie e curtes di età Longobarda: dai ritrovamenti ceramici della località “Cele” potrebbe
essere attestata la frequentazione del sito di Caelum dal VII secolo e per tutto l’alto
medioevo (Faita 1989).
Nel 774 la gastaldia dei Marsi “infinibus Spoletii” viene conquistata da Carlo Magno e
nuovamente inserita nell’ormai franco-longobardo Ducato di Spoleto.
Da questo momento iniziano le prime testimonianze sulle chiese e monasteri benedettini
del territorio celanese. Da un documento redatto nell’XI secolo abbiamo l’elenco delle
famiglie che il monastero di Farfa (RI) possedeva nella Marsia al tempo del duca di
Spoleto Guinigio (789-822 d.C.), famiglie insediate nei fundi tardo-antichi, ora curtes, del
territorio celanese: “In Segunzano et in Porciano, ecclesia Sancti Adriani cum suis
pertinensis, quam tenet filius Guerrani per scriptum” (Re .Fa . V, doc.l280): e eccezionale la sopravvivenza della stessa famiglia farfense Guerra fino ai nostri giorni a Celano.
Consolidato il toponimo ORETINO (Auritino).
Nell’859-860 ad opera di Lotario II tutti i gastaldi franco-longobardi della Marsia o “terra
dei Marsi”, termine che a quel tempo indicava quasi tutto l’Abruzzo, furono nominati conti
dando cosi origine ai sette comitati abruzzesi, fra i quali quello Marsicanus con i suoi
famosi conti che controlleranno gli ex territori dei municipi marsi, delle colonie di Alba e
Carsoli e territori limitrofi (Chron. Vult., I, 226-228).
E’ probabilmente ad uno dei primi di questi conti che si riferisce la più antica notizia sulla
famosa curtis di Oretino, possesso del “filius Rainaldi comitis” nell’ 857-859 (Chron.Farf., I,
250). Nell’ anno 872, Suabilo, gastaldius Marsorum dipendente dal Ducato ancora
longobardo di Benevento, riceve dall’ abate Bertario di Montecassino varie chiese
appartenenti al monastero cassinese di Sancti Cosme de Civitella (Tagliacozzo) fra le quali
compaiono anche le chiese del territorio celanese: “Sancti Benedicti in Auritino et Sancti
Victorini in Celano et Sancti Abundi in Arcu prope lacum Fucinum.” (Chron.Mon.Casin.,
93, 5-25).
La Corte è una delle sedi fucensi di castaldi marsicani già a partire dall’857-899, mentre nel
972 diventa una delle sedi principali del ramo fucense dei Conti dei Marsi di Celano, a
partire da Rainaldi II, figlio del Conte Berardo I. L’ultima menzione del toponimo del
fondo si ha nel 1239, poi il suo territorio entrerà a far parte integralmente del feudo di
Celano e del feudo di Turris Passarum con la pesca del lago Fucino, come attestano
documenti del trecento.
La curtis era sostanzialmente una villa ad economia chiusa, con una parte riservata al
padrone, pars dominica, ed un insieme di fondi assegnati a famiglie di coltivatori
dipendenti, la pars massaricia. La chiesa principale della Curtis, situata nella località
paludi,era Sanctae Mariae in Oretino.
Dai documenti cassinesi del 941 e 981 sappiamo della donazione dei re Ugo e Lotario alla
cella cassinese di Sancti Victorini in loco Telle, del monte di Celano e di tutti i
possedimenti che aveva prima della distruzione dei Saraceni (Re Mon.Casin. II, n. 8). Da
questi documenti si evince che una parte del pendio roccioso del monte di Celano, dove
sorgeva la chiesa di S. Vittorino, era denominato Telle o Tilia dal nome del precedente
insediamento fortificato italico (Tallia?) (Grossi – storia di Celano).
E’ possibile che, vista la grande estensione delle proprietà agrarie della curtis di OretinoAuritino, che il Sancti Benedicti in Tillia citato nelle successive fonti cassinesi sia
riconoscibile nel Sancti Benedicti in Auritinor gia presente nella donazione cassinese dell’
872 al gastaldo Suabilo: della curtis celanese conosciamo un suo abitante, “Petrus Mainonis
in Auritino” che dono i suoi terreni nel X secolo alla prepositura cassinese di Santa Maria
di Luco (Chron.Mon.Casin., l 83, 20).
Le chiese inserite nell’abitato territoriale agricolo della Villa Corte erano quelle di -San
Flaviano, San Severino, San Benedetto e Santa Maria.
San Severino, è ancora oggi citata nella omonima strada San Severino che dal Museo
Paduli o Paludi di Celano ritorna verso nord direzione Borgo Bussi;
-San Flaviano è il Colle dove sorse Celano dopo la distruzione da parte di Federico II,
attestazione se ne ha anche dal documento dei beni di Ruggero II di celano nel 1387
(Questo toponimo, probabilmente è rimasto dalla presenza in loco della chiesa di San
Flaviano nell’alto medioevo; chiesa probabilmente privata e costruita su probabili antichi
insediamenti esistenti del periodo italico sul colle).
– Sancti Benedicti in Auritino, è posta sopra Fontegrande di Celano, se ne ha notizia fra
l’856 e l’883 nella concessione dell’abate Cassinese Bertario al castaldo Marsicano Suabilo
della Chiesa di S. Cosma di Civitella (Tagliacozzo) e delle chiese dipendenti. nel 1017 la
chiesa è citata come “cella” di proprietà di proprietà del monastero cassinese di Sancti
Benedicti in Civitade Marsicana. A metà dell’XI secolo la cella monastica è abbandonata a
favore della nuova chiesa feudale di San Giovanni Caput Acqua voluta dal Vescovo dei
Marsi Pandolfo.
– Santa Maria in Oretino era posta verso Paludi nelle immediate vicinanze della sponda
del Lago.
Nella Biblioteca Apostolica Vaticana – Archivio Barberini, II, si hanno delle notizie nei
quaderni degli inventari.
[Inventarium] A.D. 1387] (f.1) In Dei nomine amen. Quaternus inventarii continens
omnia / et singula bona stabilia que vir magni ficus / Rogerius Celani comes habet
in Comitatu suo / Celani et aliis locis extra Comitatum men/surata per mensuram
cande nec non et alia iura collectas, redditus et prestationes alias quascumque / ac
ius patronatus ecclesia rum si qua fuerit, factus anno Domini mi/llesimo trecentesi
mo octuagesimo septimo, decime indictionis / de mandato ipsius comitis est pro ut
infra describitur. In primis vide licet: (……..). In castro Turris Passarum ( da non
confondere con la Torre de Passeri nel Chietino. Infatti tale omonimia ha spesso portato
alcuni storici a descrivere il territorio della contea erroneamente alla realtà).
Videlicet in primis, Habet Curia Celani comitis in Castro Turris passarum / cabellam bai
ulationis que cabella est omni anno carlenis argenti uncia una. Item habet Curia ips
a in dicto Castro omni anno collectam Sanctae Mariae / de mense augusti que coll
ecta est in ducatis de auro / quinque per quamlibetunciam computatis uncias tres c
um di/midia. Item habet dicta Curia cabellam Lacus Ficini in Castro ipso / et est
modo ad presens in carlenis argenti sexaginta per unciam / quamlibet computatis uncia
s triginta tres omni anno incipente / a festo Sancti Andree et usque ad festum eiusdem
Sancti Andree. Il feudo lo ritroviamo nella Contea di Celano, tenuta da Edoardo Co
lonna e Jacovella di Celano, nel 1424: Turris Passarum (E. Celani, Documenti vaticani per l
a storia della Contea di Celano. 1184 –
1594, in “Archivio storico per le Provincie Napoletane ”
, anno XVIII (1893), fasc. I., pp. 66-91.
Si riportano le ulteriori e dettagliate considerazioni: “ Nell’altomedioevo (IXXI
secolo) il castello era definito Oretino o Hauretino con numerose notizie come località,
villa e corte marsicana, posta presso le rive settentrionali del Lago Fucino, con le chiese di
S. Maria e di S. Benedetto (Cronache cassinesi e farfensi). Solo nei documenti della second
a metà dell’XI secolo appaiono le dizioni di Castrum Hauretino, de Oretino Oppido e abit
atores in castello de Nauretino ( G. Grossi, Celano Storia Arte Archeologia, OvindoliCelan
o 1998, pp. 2832). Il castello fu distrutto dal Conte dei Marsi Berardo III (o dai Nor
manni), nella seconda metà delsecolo XI (1076), perché rifugio del fratello, filonorma
nno, il Vescovo dei Marsi Pandolfo, provocando l’intervento diretto di Riccardo di C
apua (AMATO DI MONTECCASINO, c. XXV, 334336).
Dai documenti monastici farfensi si evince che la località, villa e corte di Oretino, prima se
de dei Conti dei Marsi, nella seconda metà del X secolo (Rainaldo II) e derivata da un tar
do antico fundus Oretinus, era caratterizzata da un territorio che comprendeva: la riva del
Fucino, con relativo porto e la chiesa di S.Maria (detta successivamente “in Palude”); la pi
anura agraria con i casali Nolano, Gualdo, Cantalupo, Molinario e Orbente, con le chiese
minori di S. Severino e S. Fraviano; la montagna della Serra di Celano (o “Monte Tino”),
con il castrum e la chiesa di S. Benedetto (poi diventata sede della primitiva chiesa
di S.Francesco di Celano: Iuxta Castrum Celani)(Grossi – www.fayllar.org/
castiglione-a-casauria-note-di-storia.html?page=4).
Dopo la distruzione il villaggio fortificato scompare, assorbito dall’insediamento forti
ficato di Celano (non appare infatti nel Catalogus baronum normanno), per poi rico
mparire, col nome di Turris Passarum, fra i feudi della contea di Celano, al termine del Du
ecento (Ruggero I Conte di Celano), fino all’abbandono sul finire del Quattrocento. Il luog
o del castrum medievale è riconoscibile nella località “Cretaro” di Casal Martino di Obvin
doli, dove, lungo la strada che da Celano porta alla frazione di S.Potito di Ovindoli: su un
picco roccioso (quota 1166), che sovrasta il casale, lungo il sentiero che porta a “Serra dei Curti” (Serra della Curtis [de Oretino], sono i resti delle fondazioni in opera incerta m
edievale di una torre cintata, con fossato esterno e villaggio su terrazze, affiancato, co
sparso di ceramica medievale (G. Grossi, Marsica sacra. Chiese, Celle e Monasteri. IVXII
secolo, Avezzano 2004, p. 50, nota 222).
Altri documenti non se ne trovano col nome Torre Passeri, eccezion fatta per un atto, anch’esso controverso, datato 1278/1279, in cui si tratta della dotazione feudale del conte di Celano, Ruggero:”castrum Castuli, Roccam de Medio, Fuscalinam, castrum Vetus, Cucullum, castrum Galiani, Robore, Polzanum, Foce, castrum T u r r i s P a s s e r u m, Agellum, castrum Sancti Potiti, castrum Sancte Eugeni
e, Ovinulum, Bisengium et alia feuda” Madonna delle Grazie di Celano, posta fuori le
mura ad Ovest, è il San Giovanni Caput Acquae, fondata intorno alla metà dell’XI secolo
dal Vescovo dei Marsi Pandolfo, figlio del Conte Berardo II, allora residente nel “Castrum
Oretino”, (Casal Martino di Ovindoli), nelle vicinanze della chiesa Sancti Benedicti in
Auretino o in Celano, chiesa diventata una delle celle alle dipendenze nel 1017 del
Monastero di San Benedetto della Città Marsicana. Nalla stessa data è documentata anche
cella monastica di Sancti Vittorini in Telle, o anche detta di Celano, alle dipendenze del
sottostante Monastero di San benedecti in Oretino o Celano.Nel 1059 lo stesso Pandolfo vi
tumolò le ossa dei Santi Martiri Simplicio, Costanzo e Vittoriano. Pandolfo nel 1032 diventa Vescovo ed era filo normanno. Nel 1076, I Normanni giungono nella Marsica dalla Val di Comino e dalla media Valle del Liri con l’intento di conquistarla (Clementi 1994, 175), e nel 1076 Berardo V affronta in battaglia Giordano, figlio di Riccardo Principe di Capua.- La battaglia fra i due si conclude con una sconfitta per Berardo, che si ritrova a doverlo omaggiare facendolo sostare a Celano. Successivamente nel 1076 Berardo V si sente umiliato dai Normanni e considera responsabile del loro arrivo il fratello Pandolfo, vescovo dei Marsi e nel 1076 fa arrestare Pandolfo. Nel 1076 I Normanni saputo dell’episodio tornano nella Marsica e riaffrontano in una nuova battaglia Berardo V, che viene nuovamente sconfitto e costretto a liberare il fratello.
Nel XII secolo divento una delle piu importanti chiese feudali della Diocesi della Marsica,
posta a contatto del grande incastellamento di Celanum dei Conti dei Marsi e la vicino
Fons Aurea. La chiesa nel Duecento si salva dalla distruzione di Federico II nel 1223. Dopo
però, con la nascita della nuova Celano sulla sommità del Colle San Flaviano, perde di
importanza a favore della nuova Chiesa principale all’interno del centro abitato San
Giovanni Battista. Nella cronaca Cassinese si fa riferimento alla “cella” in diversi
documenti: nel 872 ceduta dall’abate Bertario al gastaldo Marsicnao Suabilo, insieme a San
benedetto in Oretino e San Abbondio in Arcu (Celano); nel 949 – 986 con la citazxione nelle
rendite delle due chiese di San Vittorino in Celano e San Benedeto in Tillia, ad altre chiese
della Marsica. La Cella di San Benedetto in Telle fondata in onore di San Vittorino, fu
ricostruita dal Re Ugo e Letario nel ‘941, dopo la distruzione Saracena dell’880-881, e le fu
attribuita la proprietà della catena montuosa di Celano, con la comunità religiosa
femminile che vi risiedeva.
La cella rimane alle dirette dipendenze di Montecassino fino al 1137, poi passata di mano
in mano ad altre dipendenze SS. Cosma e damiano di tagliacozzo, forse anche a Santa
Maria di Farfa. In un documento Cassinese della fine del XIII secolo, si fa riferimento alla
persa “cella di San Victorini in Tilia” insieme al sottostante Monastero di San Benedetto in
Tilia, di cui si ha l’ultima conferma nel 1137 dell’imperatore Lotario di Suplimburgo.