La caduta dell’Impero Romano coincise con le invasioni barbariche
e significò la dismissione dell’allevamento ovino per ovvi motivi
di sicurezza e di saccheggi che le popolazioni dovettero subire. Nel
periodo alto medievale i ricoveri per gli animali presenti nei tratturi
divennero così dimore per le persone. La grande transumanza scomparve
per la mancanza di leggi che la regolassero e per il pericolo nell’affrontare
i viaggi a causa delle scorrerie dei predoni barbari. Nella
Marsica e nell’Appennino italico l’industria armentizia si limitò agli
ambiti locali e andarono affermandosi le “curtis”, proprietà agrarie
costituite da più poderi non sempre contigui ma che nel loro insieme
formavano un’unità economica autosufficiente.
La società dei barbari era organizzata in maniera diversa rispetto
a quella romana: questa si reggeva su un apparato burocratico fonte
di diritto, quella si reggeva sui rapporti di consanguineità e personali.
In pratica, nella società romana lo stato in quanto tale amministrava
e gestiva la giustizia e aveva un idoneo sistema fiscale; la società
barbarica, stanziale o nomade, era soprattutto una società guerriera
alla ricerca di comunità e villaggi da depredare.
Nella Marsica, in quel periodo si conobbe una crisi totale dell’industria
armentizia, già messa a dura prova dalla realtà locale e dalle
continue distruzioni e saccheggi provocati dai popoli transitanti. Tale
periodo si prolungò a tal punto da annullare definitivamente l’industria
armentizia. Molte case nobiliari furono distrutte e con esse
il circuito lavorativo che vi ruotava intorno. I secoli che vedono la
decomposizione dell’Impero Romano d’Occidente rappresentano
un periodo di intense migrazioni di genti che provengono in prevalenza
dall’est.
La causa di questi spostamenti è da ricercarsi soprattutto
nella volontà, non più contrastata da barriere militari o da vincoli
di inferiorità bellica, di migliorare il rapporto uomo/terra sia
sotto il profilo quantitativo (appropriazione di nuovi e più vasti territori
per i bisogni di una agricoltura estensiva e di un allevamento
ancora in parte nomade) sia sotto quello qualitativo (terreni più fertili,
in alcuni casi già bonificati e messi a coltura). [1967, Clifford T.
Smith]
La contrapposizione tra agricoltura e allevamento, insieme a una
mancata innovazione tecnologica su un terreno impoverito e soprattutto
reso sterile dalla mancata fertilizzazione dai residui organici
animali, è causa delle basse rese agricole. La denutrizione è generalizzata
tra le masse contadine e non si può certo affermare che alla
decadenza delle città faccia da contrappeso uno sviluppo florido
delle campagne.
Lo sviluppo di apparati rurali all’interno dei centri
urbani, con orti, stalle, terreni acquitrinosi, rappresenta sì un predominio
dell’ambiente rurale su quello delle città, ma certamente
non rappresenta una dominazione economica politica delle campagne
sulle città. È più esatto parlare quindi di economia domestica
autosufficiente.
Questo tipo di economia era prevalente o esclusiva nella Marsica.
Tutto il territorio era di proprietà nobiliare, gli affittuari e i dipendenti
non praticavano solo la pastorizia e i periodi neri furono mitigati
da altre attività come l’agricoltura e soprattutto la pesca. Quest’ultima
attività ai pescatori fruttava solo due terzi del ricavato perché
l’altra parte era lasciata nelle “stanche” (luoghi dove veniva pesato
il pesce pescato) ai padroni del Lago.
Più da vicino vediamo che all’interno del periodo che va dalla caduta
dell’Impero Romano alla nascita della Regia Dogana di Puglia,
si verificano delle vicissitudini che interessano il territorio marsicano.
Nel 608 un prete nativo della Marsica divenne Papa col nome
di Bonifacio IV: Bonifatius natione Marsorum de civitate / leggi:
provincia Valeria (Liber Pontificalis, I, 317) [Grossi]. Nell’epoca longobarda
il territorio marsicano cominciò a riempirsi di chiese (Sancti
Benedicti in Auritino et Sancti Victorini in Celano et Sancti
Abundi in Arcu prope lacum Fucinum).
Molte di esse furono dedicate
a Sant’Angelo, come la Sancti Angeli in Arcu delle Cese di San
Marcello a Celano, oppure come gli eremi e i santuari nella Valle
Roveto. Qui subito salta agli occhi la devozione per l’Arcangelo Michele,
magnificato in quasi tutte le realtà dell’Italia centro-meridionale,
ma soprattutto abruzzese.
Dei popoli della riva lacustre marsicana abbiamo una vivida descrizione
durante un placito tenuto nel giugno del 972, in cui venne
descritto il tratto detto Altorano (Atrano), posto fra Monterone
e la località Palude proprio sul tragitto dell’antico tratturo Celano-
Foggia. Ora lì nei pressi sorge il Museo preistorico di Celano, che è
una moderna struttura espositiva, immersa nel verde del Fucino e
ubicata in prossimità degli scavi del villaggio palafitticolo dell’età del
Bronzo finale (XII secolo a.C.). In quel luogo sorgeva l’antica chiesa
di Santa Maria in Padule in Altorano: “Per hos dies in placito
Marsorum comitium proclamante illo, refutata est ei ripa Fucini
cum piscaria sua, ab ipsa videlicet ecclesia sanctae Mariae de Monterone,
usque in sanctam Mariam de Palude, qui locus Altoran.um
nuncupatur; nec non et due servorum familie cum omnibus suis”
(Chron. Mon. Casin., 178, 10-32).
Quattro anni dopo (976) l’abate cassinese concesse ad Aimerado,
in cambio di alcune chiese della contea Teatina, le chiese marsicane
poste sotto Celano e lungo la circonfucense, fra le quali: “Sanctae
Mariae in Montorone, Sancti Abundii in Arcu, Sanctae Mariae in
Oritino” (Chron. Mon. Casin., 178, 1-10); probabilmente la Santa
Maria in Oritino deve essere la precedente chiesa detta Santa Maria
in Palude nel placito del 972 [Grossi].
Negli anni 1072-73 il giudice Giovanni, figlio di Azone, concesse
a Farfa, nella chiesa di Sancti Adriani in Marsi (Porciano), le sue
proprietà di Paterno (Chron. Farf., II, 160, 28) da dove poi sarebbe
partito il tratturo. Intorno al 1200 la pastorizia non subiva ancora
uno sviluppo progressivo, anzi ristagnava anche a causa della mancata
stabilità politica della Conca del Fucino. In quegli anni avvenne
la disfatta del conte Tommaso con la consegna delle terre di Celano
e della sua Contea all’imperatore Federico II.
In quell’epoca il tratturo, che ancora non era chiamato tale, era
tracciato in modo naturale e veniva utilizzato non a scopi pastorali
ma militari. Infatti il conte Tommaso, durante la battaglia contro
Federico II di Svevia, per giungere a Celano da Roccamandolfi, aveva
una sola strada da percorrere ed era proprio quella dove poi sarebbe
nato il tratturo.
Per far capire l’importanza di questa grande
via di comunicazione, basta citare il fatto che anche San Francesco,
giunto a Celano nel 1225, probabilmente su suggerimento di Tommaso
da Celano, suo seguace e primo biografo, nonché scrittore delle
Dies Irae, lo attraversò per portarsi in Puglia inseguendo la sua
opera di evangelizzazione.
Abile fu poi la politica di Ruggero nel 1266 con l’acquisizione di
Rocca di Mezzo e quindi di gran parte dell’altopiano delle Rocche,
utilizzato per la transumanza “verticale” della locale pastorizia fucense settentrionale.
Nel 1279 i principali centri della Valle Subequana, come Castelvecchio
Subequo e Gagliano Aterno, entrarono nel nuovo grande
stato feudale di Ruggero I ad esclusione delle nuove baronie angioine
di Santa Maria della Vittoria di Scurcola Marsicana, con i suoi
abati cistercensi possessori di molti feudi, di parte dell’attività pescatoria
fucense nonché di industrie armentizie con relative “poste”
nel Tavoliere di Puglia.
La seconda metà del Duecento vide quindi lo sviluppo della vocazione
pastorale del feudo marsicano, soprattutto nel 1289 quando
il conte di Celano donò la chiesa di Santa Maria dei Seniori, posta
nella pianura sottostante di Celano (la vecchia Santa Maria in Monterone)
alla pastorale abbazia celestiniana di Santo Spirito in Morrone.
Lo stesso conte, nel 1303 e 1309, per contrastare il potere di
Santa Maria della Vittoria di Scurcola, aveva fatto donazioni al nuovo
grande ospedale per i trovatelli “San Nicola Ferrato” di Pescina,
creato per volere di Bonifacio VIII nel 1295 dall’unione degli antichi
ospedali di San Nicola in Furca Ferrati (Forca Caruso) sulla via
Valeria, situato proprio sull’antico tratturo Celano-Foggia, e San
Rufino di Trasacco. Ancora oggi è possibile notare delle rovine di almeno
uno dei monasteri mentre i loro nomi sono stati dati alle due
vallate che fungevano, in tempi remoti, da spazi per il riposo dei
transumanti proprio lungo il tratturo Celano-Foggia.
L’importanza della Contea celanese fece sì che a maggio si svolgesse
sul piazzale antistante la chiesa di Sant’Angelo una fiera, ottenuta
da Pietro conte di Celano nel 1399 dal re Ladislao. Detta fiera
avveniva in maggio perché era il periodo del rientro dei transumanti
dalle terre di Puglia e prima di recarsi ai pascoli montani marsicani
del Sirente e del Velino.
Gli inizi del XV secolo videro dunque Celano come il più grande
centro feudale della Marsica, con la sua vocazione prevalentemente
pastorale attuata attraverso una transumanza “verticale” e
“orizzontale”, indirizzata verso i pascoli estivi del Sirente, dell’alto
piano delle Rocche, e i pascoli invernali della Puglia, raggiungibili
attraverso il Regio Tratturo Celano-Foggia.La transumanza avveniva
anche verso l’Agro Romano che però era interdetto nel periodo aragonese
quando vigeva l’imposizione a raggiungere Foggia per la
“mena delle pecore” della Regia Dogana, che rappresentava la più
grande entrata finanziaria del regno di Napoli.
La transumanza, soprattutto quella orizzontale, portò a un potenziamento
urbano dei paesi di Aielli, Cerchio e Collarmele, posti
lungo la via transumante, e fece sì che il re desse il placito alla fiera
celestiniana celanese di maggio incrementando anche la crescita e il
culto della festività di Santa Gemma di Goriano Sicoli.
Giancarlo Sociali