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15 Marzo 2022Voglio dedicare a tutte quelle donne che hanno perso un loro caro a causa della guerra, in special modo in quella ancora in corso in Ucraina, un recente studio riguardante delle parole in dialetto, un tempo usate di frequente. Nella Marsica e soprattutto a Celano, era spesso udibile la parola Sci Scure, scur a ti, mara-tti’ o mara-mmì.Ebbene da alcune ricerche finalmente alcuni nodi vengono al pettine e sia l’etimologia che la provenienza portano a completamento la ricerca di una delle frasi più tristi e più usate specialmente in tempi di sofferenza, guerra e morte.Infatti il termine scì scur, significa possa tu vestirti di nero, da vedova/o, e l’altra frase spesso usata “mar a mì (male a me)” o “mar a tì (male a te)” significa “povera/o me”, o “povero te”.Queste parole si ritrovano in una canzone che non avevo mai ascoltato con attenzione, una canzone nata in Abruzzo nel 700’, con il titolo “Lamento di una vedova”. Mai più attuale riferito all’ultima guerra in corso fra la Russia e l’Ucraina, mai più indicata per tutte quelle donne che hanno avuto delle perdite a causa della guerra.
La provenienza sembra sia di origine balcanica e risalente al 500, nel periodo storico dell’espansione Ottomana. Infatti, furono moltissimi i profughi che approdarono in Italia, specialmente in Abruzzo. Secondo altri ricercatori, l’origine potrebbe essere addirittura medievale ma comunque è al 700 che risale la prima testimonianza scritta del canto, pubblicato con il titolo Scura mai in un libro di poemi dialettali di Romualdo Parente poeta di Scanno.Inoltre il canto è stato arrangiato da Nino Rota per la colonna sonora di “Film d’amore e d’anarchia”, pellicola diretta nel 1973 di Lina Wertmüller, dove è interpretata da Anna Melato.Nel sito altosannio.it, Enzo. C. Delli Quadri, ne disquisisce la nascita e le interpretazioni di vari artisti.Questo canto è stato denominato in vari modi (Mara maje, Scura maje, con la i, con la j, tutto attaccato Maramaje, etc..) e si hanno varianti letterali e musicali nei diversi centri abruzzesi. Il titolo in italiano sarebbe POVERA ME. Il brano descrive il senso di abbandono e di dolore di una donna costretta da sola a crescere i figli perché ha perduto improvvisamente il marito. Infatti, l’organizzazione sociale di un tempo non del tutto tramontata nemmeno oggi in vaste porzioni della penisola, non contemplava nemmeno che una donna potesse sopravvivere una volta abbandonata dal marito, a meno che qualche altro maschio l’accettasse come schiava insieme all’eventuale prole precedente. E infatti nell’ultima strofa la disperata protagonista arriva ad augurarsi di trovare anche solo uno “sterpone” (zotico, ignorante, cattivo, brutto,…) che pigli con sé lei e il suo bambino…
Antonio De Nino, afferma che il pianto si componeva di 17 strofe e che, intorno al 1830, era stato scritto da Sebastiano Mascetta di Colledimacine (Chieti).Nelle prime quattro la donna esprime tutta la sua disperazione per la scomparsa del marito e per il suo nuovo stato sociale che la costringe alla più completa solitudine materiale e morale. Prima, infatti, poteva contare su una piccola e rustica abitazione ora è priva di qualsiasi riparo e, soprattutto, di cibo per sé e per i figli che, di notte, implorano, ma invano, il pane. A nulla è valso il ricorrere alla pietà del “cumpare”, il testimone di matrimonio che, per consuetudine, in caso di morte del coniuge era tenuto a soccorrere la vedova. Alla strofa settima ella si paragona, vivente il marito, ad un’orsa opulenta mentre, dopo la sua scomparsa, è diventata secca come un’alice e nessuno, neppure più un cane, si accorge del suo dramma e nessuno più si rivolge a lei con dolcezza. Il pianto termina con la speranza che possa presto trovare un altro compagno, non importa se brutto come uno sterpo.
Il canto in Italiano e poi nella forma dialettale originale:
Povera me, povera me!
tu sei morto e io come faccio?
ora mi straccio trecce e faccia,
ora mi getto in collo a te:
povera me, povera me!
Prima tenevo una casetta,
ora non ho più ricovero,
senza fuoco e senza letto,
senza pane e companatico:
povera me, povera me!
M’ha lasciato una famiglia
scalza, nuda e affamata;
e la notte si sveglia
vuole il pane e io non l’ho:
Povera me, povera me!
Ieri andai dal compare,
a cercare la carità,
mi fece una sgridata
mi batté con una stanga:
Povera me, povera me!
Sii maledetto, sii maledetto,
quanto bene ti ho fatto!
per il sangue di una gatta
proprio strega m’ho a fare
Povera me, povera me!
E la notte all’improvviso,
Quando dormi, all’insaputa,
ho da entrare pel buco della porta,
tutto il sangue ti ho da bere:
Povera me, povera me!
Stavo grassa come un’orsa,
mi son fatta secca secca
non c’è un cane che mi lecca,
chi mi scaccia e chi mi abbaia:
Povera me, povera me!
Al cielo cosa ho fatto?
al mondo poverella,
sono rimasta vedovella,
ora mi arrabbio, ora mi arrabbio:
Povera me, povera me!
Oh! Cielo, fammi uscire
per marito uno sterpone
che se non hai il montone,
la cucciola sempre abbaia:
Povera me, povera me!
Dialettale:
Scura maja, scura maja!
Te si’ muort’ chigna facce?
Mo me stracce trecce e facce,
Mo m’accit ’ngoj’ a taja:
Scura maja, scura maja!
Primma tenea ’na casarella,
Mo ’ntieng’ chiù reciette.
Senza fuoche e senza liette,
Senza pane e cumpanaja:
Scura maja, scura maja!
M’ha lasciata ’na famija
Scàuza e nuda, appetitosa;
E la notte ci sgeveja
Vûne ju pane e i’ ne’ l’aja:
Scura maja, scura maja!
Ieri jeje a ju cumpare,
A cerché la carité,
Me feceje’ ‘na strellota
Me menaje ’na staja:
Scura maja, scura maja!
Sci’ mmajtt’, sci’ mmajtt’,
Quanno bene ch’ ’nt’ aje fatte!
Pe’ lu scianghe de la jatta
Pròpia straja m’aj’ a faja
Scura maja, scura maja!
E la notte a l’impruvisa,
Quann’ durme, a l’ensaputa,
Aja ’ntrà’ pe’ la caùta,
Tutt’ le scianghe me t’aja vaja:
Scura maja, scura maja!
Stava grassa chinta a ’n’orsa,
Me so’ fatta scecca scecca
’Nc’ è nu cone che me lecca,
Chi me scaccia e chi m’abbaja:
Scura maja, scura maja!
A ju ciel’ che ’nci aje fatt’?
A ju munne puverella,
So’ remasta vudovella,
Mo m’arraja, mo m’arraja:
Scura maja, scura maja!
Oh! ju ciele, famm’ascì,
Pe’ marite nu struppone
Ca se n’aje ju muntone,
La cacciuna sempre abbaja:
Scura maja, scura maja!
Di seguito alcuni link di youtube dove potrete trovare il canto sia in forma arrangiata e sia nella versione originale: