Canto del servo pastore
“Canto del servo pastore”
Quest’oggi vorrei proporvi sempre parlando di mondo pastorale una delle tante bellissime canzoni di De André. Egli porta alla riflessione della bellezza della solitudine, la bellezza del rapporto fra uomo e natura.
La canzone chiaramente può, anzi deve essere riferita a tutti i pastori del mondo, i quali facevano parte dell’ultima scala gerarchica della società. Da un’attenta analisi di Riky Giannini nel suo blog mi corre l’obbligo di contribuire anche con una mia interpretazione.
Nel
“Canto del servo Pastore”, si riflette tutto ciò che era il mondo
pastorale, in un certo senso riflette la vita di mio padre, pastore servo, uomo
della natura (qui trovate un approfondimento: https://giancarlosociali.it/2022/02/22/senza-famiglia-sul-sirente/ ) , il protagonista del “Canto del
servo pastore” non ha nome,non ha più i genitori
(“Mio padre è un falco, mia madre un pagliaio, stanno sulla collina“).
La sua unica compagnia fissa è un gregge di pecore ed il suo cane, costantemente
alla ricerca di una fonte dove abbeverare, quella fonte dove fiorisce il
rosmarino (“Dove fiorisce il rosmarino c’è una fontana scura“).
Il pastore non ha mai potuto prevedere il suo futuro e qui De André lo rivela con splendidi versi (“Dove
cammina il mio destino c’è un filo di paura – Qual è la direzione nessuno me lo
imparò – Qual è il mio vero nome ancora non lo so“).
La canzona continua con una seconda strofa che mischia, in modo sapiente la
solitudine e la paura del pastore. Ossia, quando la luna si oscura del suo bagliore ed
ogni cane abbaia, il pastore deve
resistere e cercare di sovrastare la paura lasciandola andare nel fiume, coprendola,
nascondendola dentro di se ….
“Quando la luna perde la lana e il passero la strada
Quando ogni angelo è alla catena ed ogni cane abbaia
Prendi la tua tristezza in mano e soffiala nel fiume
Vesti di foglie il tuo dolore e coprilo di piume“.
Nella terza strofa De André, sembra abbia scritto questi versi con i
ricordi io ho di mio padre e buona parte dei pastori di un tempo. Egli non ha
nome, non ha genitori, non ha legami con la società, ma lascia tracce del suo
passaggio (intagli con il coltello sugli alberi), ed anche se non ha mai avuto una
compagna, come invece molti uomini
hanno, lui il pastore, l’amore suo (la
natura), non l’ha mai tradita, come hanno fatto invece innumerevoli mariti
infedeli.
“Sopra
ogni cisto da qui al mare c’è un po’ dei miei capelli
Sopra ogni sughera il disegno di tutti i miei coltelli
L’amore delle case l’amore bianco vestito
Io non l’ho mai saputo e non l’ho mai tradito”
De André qui lancia una precisa accusa al mondo borghese. Infatti , questa poesia “Il canto del servo pastore” è un implicito atto di accusa verso quel mondo.
“Mio padre un falco mia madre un pagliaio
Stanno sulla collina i loro occhi senza fondo seguono la mia luna
Notte notte notte sola sola come il mio fuoco
Piega la testa sul mio cuore e spegnilo poco a poco”
In questa ultima strofa De André, conclude la giornata del pastore, che si addormenta con le sue paure e le sue speranze. Egli, cerca di far consumare i suoi cattivi pensieri, come si consuma il fuoco che aveva acceso per la notte. Il pastore contrariamente a quanto definito dalla società dell’epoca ed anche attuale, in realtà è persona orgogliosa, persona che combatte giornalmente le proprie paure. Combatte giornalmente le forze della natura, ma la ama ed ha rispetto di lei. Il pastore è una persona costantemente in contrapposizione con il mondo borghese, con quel mondo pieno di ipocrisie e di incapacità.
Quello che mi viene da pensare alla fine di questa mia disamina, è che la solitudine, è stata provata bene o male da tutti, ma penso che pochi hanno realmente assorbito la sua bellezza, la sua potenza nel collegarti con la natura e con l’universo. Ecco, è questa sensazione, che dovremmo sperimentare tutti per far si che si ritorni al contatto con la natura, per ripartire da zero, per far si che spariscano le nostre paure e le nostre illusioni; per tornare ad essere uniti con i nostri simili ed il mondo che ci circonda.
Giancarlo Sociali