LA CIVILTA’ DELLA TRANSUMANZA

Un fiume anche se antico, ha sempre bisogno di nuova acqua per mantenere il suo corso, così la “civiltà della transumanza”, per continuare a vivere ha bisogno di nuove genti con nuove gesta che la rinnovino.

Non sono pochi quelli che sostengono, che parlare della transumanza e dei tratturi non abbia attinenza con il mondo odierno. Questo discorso può essere fatto solo da chi è solito attribuire etichettature superficiali.

Non ha senso dire che l’Abruzzo non è più quello di D’Annunzio, come non ha senso l’imbarazzo dell’abruzzese moderno ed “informatizzato”, ad identificarsi con una realtà non solo antica, ma quasi scomoda e, soprattutto, maleodorante, perché la pecora, come ben si sa, non emana un buon profumo.

L’errore, purtroppo è dato dalla mancanza della conoscenza, e noi dobbiamo, a tutti i costi fare un’azione di motivata pubblicizzazione, per così dire, di divulgazione ed informazione.

Bisogna parlare cioè, di “civiltà della transumanza”. Ne dobbiamo parlare, perché l’abruzzese del nuovo millennio non può non riconoscere – né può rinnegare – di essere espressione diretta di quella “civiltà”.

Sarà facile obiettare a questa nostra consapevolezza, ma saranno obiezioni immotivate e senza basi culturali né scientifiche. Lo scopo dilagante, della società moderna di sotterrare a tutti i costi la memoria è uno scopo fallito in partenza, e se riuscirà nell’obiettivo, avremo popoli sterili e disorientati. Quindi è giusto e fondamentale dire, che nella “civiltà della transumanza”, debba innanzi tutto entrare la storia, l’economia, la religione e le tradizioni popolari. Oltre a ciò, chiaramente l’aspetto culturale e dell’arte, appunto della “civiltà”.

Una civiltà, quella della pastorizia transumante, costruita, e nessuno deve disconoscerlo, sulle sofferenze di una sterminata moltitudine di generazioni di umili pastori, che avevano solo ombre sulla quotidiana sopravvivenza, subivano l’abbrutimento, la malnutrizione, la prolungata lontananza, una sofferenza a volte indescrivibile.

E dello sviluppo di un artigianato pastorale ne vogliamo parlare? E dei pastori poeti? E della letteratura che ha da sempre guardato a questo mondo, anche se spesso purtroppo dimenticando di centrare l’obiettivo, e cioè il pastore in quanto uomo, in quanto elemento di concretezza e non di scopo? Purtroppo la moderna società ha dimenticato di analizzare approfonditamente le residue testimonianze esistenti. Noi questo vogliamo fare. Vogliamo approfondire, analizzare, riscoprire e portare a conoscenza.

Il discorso storico, affrontato con attenzione sotto diversi profili, colloca indiscutibilmente la transumanza tra gli eventi più duraturi e rilevanti, e ne impone la conoscenza dall’ organizzazione delle calles romane e via via la strutturazione del sistema della mena delle pecore in Puglia.

Sistema che ha permesso all’Abruzzo di essere all’avanguardia fin da tempi antichi, come per l’introduzione della stampa rispetto al resto d’ Italia; oppure alla produzione delle corde di liuto fatte con interiora di agnello, produzione che ha creato un eminente musicista dell’epoca come Marco dell’Aquila; per non finire ai D’Addario commercianti internazionali di corde per musicisti.

Non dobbiamo nemmeno dimenticare le connessioni tra la religiosità abruzzese e pugliese, con i numerosi edifici di culto esistenti lungo il percorso dei tratturi, una sorta di costante assistenza spirituale per i pastori transumanti.

E poi è alla tradizione che dobbiamo fare riferimento per le tante e tante occasioni d’incontro e di festa, religiosa e non, che ha caratterizzano quasi tutti i centri abruzzesi, molisani e pugliesi interessati per secoli dalla pastorizia transumante.

Sembra indiscutibile, che la conoscenza corretta e documentata in tutti i suoi aspetti, della “Civiltà della transumanza”, non possa certo essere di danno ai giovani abruzzesi. Sarebbe imperdonabile se, tra qualche generazione, i tratturi e la transumanza, finissero per scomparire anche dalla memoria di quanti nascono, vivono ed operano in queste nostre terre. Allora, gli abruzzesi avrebbero perduto l’aggancio con una delle più profonde ed importanti radici della nostra cultura sociale.

Giancarlo Sociali